Il FREGIO QUATTROCENTESCO del Palazzo Sanuti a Sasso Marconi
Nel secondo post della “trilogia” sulle facciate affrescate dell’Appennino Bolognese ci occuperemo del fregio affrescato del Palazzo Sanuti a Fontana di Sasso, una frazione di Sasso Marconi che prende nome proprio dalla ricca fontana rinascimentale del cortile interno del palazzo.
Questa decorazione presenta precise rassomiglianze con quella del muro di cinta del giardino del Palazzo dei Rossi: lì infatti si conservano solo alcune tracce del partito architettonico della zona intermedia della muratura, mentre il fregio sommitale risulta quasi completamente perduto.
In Palazzo Sanuti, viceversa, il fregio appare ancora leggibile – sebbene purtroppo mal conservato e decisamente bisognoso di restauro – mentre risultano totalmente assenti (o perdute) le eventuali decorazioni sottostanti.
Le due facciate vanno perciò lette assieme per le loro innegabili caratteristiche comuni.
Infatti, oltre a una netta affinità stilistica soprattutto nel fregio sommitale, i due edifici risultano praticamente contemporanei e ubicati a pochissimi chilometri di distanza uno dall’altro: è perciò decisamente verosimile che entrambe le decorazioni siano state eseguite dalla stessa bottega o dalla stessa cerchia di frescanti.
Il Palazzo Sanuti-Bevilacqua nel libro del Fantini
Lo studioso Luigi Fantini, nella sua monumentale (e ormai preziosissima come fonte storico-documentaria, in quanto censisce numerosi edifici distrutti o seriamente danneggiati durante la Seconda Guerra Mondiale) opera in due volumi “Antichi edifici della montagna Bolognese“, pubblicata negli anni ’60 del secolo scorso, riporta un’accurata descrizione di Palazzo Sanuti ad opera di un altro studioso:
“1 – La Fontana
Questo insigne edificio quattrocentesco fu fatto edificare dal nobile bolognese Nicolò Sanuti, creato primo conte della Porretta da Nicolò V nel 1447. Il Comelli dopo aver parlato di un altro insigne edificio fatto costruire dal Sanuti in Bologna [il Palazzo Sanuti-Bevilacqua in via d’Azeglio nel centro storico di Bologna – ndr], il palazzo ora Bevilacqua, così si esprime in proposito:
<<… In tutt’altro stato di conservazione trovasi il palazzo di villeggiatura Sanuti al Sasso, del quale il cinquecentista fra Leandro Alberti fece questa menzione: “Passata la Madonna del Sasso si vede il Palazzo, da Nicolò Sanuto patricio bolognese edificato, alla cui corte scendono da una bella fontana chiare acque” (Historia di Bologna, Libro I, Deca I).
Nella divisione fattasi tra i coeredi (dei Sanuti) toccò questo stabile ai Benedettini Cassinesi di S. Procolo che lo tennero fino allo scorso secolo poco però curandone essi stessi la buona conservazione, giacché anche prima di trasmetterne ad altri la proprietà erasene fatta una osteria detta della Fontana. Così lo chiamano anche oggi, e trovasi sulla via provinciale di Marzabotto, passato di poco più di un chilometro il borgo del Sasso.
Può subito ravvisarvi un colto viandante non poche tracce della primitiva costruzione, sufficienti per farsi una idea dell’antico aspetto di quell’edifizio semplice sì, ma signorile e severo.
Bisogna però ricordarsi che nei tempi di mezzo ogni palazzo di villeggiatura era un luogo fortificato ed anche verso la fine del quattrocento un po’ di architettura militare non poteva mancarvi ed ecco perché troviamo dalla parte di mezzogiorno tracce di un’ampia cinta merlata che vi rappresenta l’antemurale: nei veri castelli quel chiuso, detto dai francesi basse cour, serviva alle prime difese degli assediati. Qui vi si era chiuso un giardino. La porta, che oggi vedesi rozzamente ampliata dovette essere in forma di sesto acuto come sono le tre grandi finestre della facciata, otturate bensì [oggi invece risultano riaperte – ndr], ma visibilissime pei loro stipiti di macigno (Foto 1). Quasi intatta può dirsi la bertesca esteriore sovrapposta alla porta (Foto 2), e sta fra queste scolpito in bianca pietra ma leggermente corroso lo stemma gentilizio del Conte sotto il quale si leggono ancora le parole Sanutis Porrecte comes [Sanuti conte di Porretta – ndr].
Entrando nel cortile (Foto 3) la fontana ricordata dall’Alberti fa prospettiva: e sopra la porta non è difficile ravvisare i vestigi delle demolite mensole che sostenevano il ballatoio per cui accedevasi alla bertesca, e continuavasi il giro interno dei merli.
Altra grande finestra, della stessa forma delle tre predette (ma essa pure accecata, s’intende) vedesi nel muro del cortile a sinistra, e in basso un grande arco a tutto sesto mette in un loggiato interno la cui volta a crociera è sostenuta in giro da eleganti capitellini che vi fanno da peducci. Sono poi anche da osservarsi ai fianchi dell’arco circolare le due finestre arcuate di sesto acuto, con graziosa variazione di stile.
Dal suddetto loggiato passavasi a quelle vaste stanze che nei castelli solevano essere assegnate ai corpi di guardia (Foto 4). Qui hanno servito e servono ancora da osteria: ricordo di avervi veduto due camini di forma antichissima per la cappa conica o quasi conica (Foto 4), ma forse non risparmiati dalle frequenti demolizioni sotto colore di restauro o di preteso abbellimento.
Nel piano superiore l’antico aspetto signorile non è riconoscibile, ma quello piuttosto di corridoi e celle fratesche. Di che non è meraviglia sapendosi che i benedettini neri ne fecero per molti anni un ospizio.
Ma al nostro Conte doveva essere gradito il soggiorno di questa villa, donde eragli più agevole il cavalcare alla sua contea: aveva poi intorno possessoni, boschi e molini […]>>.
Il fregio affrescato
Curiosamente, nè il Fantini nè lo studioso da lui citato, il Comelli, riportano alcuna notizia del fregio affrescato e dell’altro elemento di grandissimo pregio dell’edificio, una statua della Madonna di terracotta policroma contenuta in un’edicola gotica sullo spigolo del muro di cinta del giardino (l'”antemurale” citato dal Comelli).
Tuttavia, sia il fregio sia la Madonna appaiono chiaramente visibili in varie testimonianze iconografiche degli ultimi anni del XIX secolo, come alcune fotografie (Foto 5) o il progetto di restauro della facciata principale redatto da Alfonso Rubbiani (Foto 6).
Analogamente a quanto avviene nel Palazzo dei Rossi, anche in questo caso il fregio si sviluppa sul lato lungo del muro di cinta del giardino (originariamente merlato e successivamente soprelevato, munito di tetto e trasformato in locali di servizio), posto sulla destra del corpo di fabbrica principale, cioè il palazzo vero e proprio. Inoltre, poiché originariamente il muro di cinta non aveva tutta la stessa altezza, il fregio presenta un brusco “salto di quota” decisamente inconsueto (Foto 7).
Il fregio rispecchia pienamente le tendenze più diffuse della decorazione di facciata della seconda metà del ‘400: un fatto che non deve stupire, perch – anche se l’edificio si trova in una zona piuttosto marginale – la decorazione venne commissionata da una famiglia del patriziato bolognese perfettamente inserita nel clima culturale del momento. Racchiuso tra una sottile fascia rossa inferiore e un fascione superiore decisamente più alto, consiste di una serie di ritratti di profilo a mezzobusto entro medaglioni rappresentanti il conte Nicolò Sanuti (Foto 8 e 9), sua moglie Nicolosa Castellani (Foto 10 e 11) e probabilmente i loro figli, alternati a coppie di puttini ad ali spiegate (Foto 12) e festoni vegetali (Foto 13) “appesi” con nastri rossi svolazzanti al fascione superiore (Foto 14).
Il motivo dei festoni “appesi” con nastri rossi a chiodi, anelli (spesso dipinti fin nei minimi dettagli) o semplici fasce colorate, spesso arricchito anche da scudi con stemmi araldici, cartelli con motti o citazioni o teste di puttini, nel XV-XVI secolo era diffusissimo in più varianti: lo vediamo ad esempio nella Rocca dei Bentivoglio a Bazzano (Bologna), in alcune stanze del Castello di Vignola o nella Rocca dei Pio a Carpi (entrambi in provincia di Modena), nel cortile del Palazzo Ducale di Mantova, nella Casa Balduini e nel Castello del Buonconsiglio a Trento, nel refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie di Milano e in numerose facciate affrescate di Verona o Treviso. Si trattava infatti dell’imitazione pittorica delle vere decorazioni effimere con cui si usava abbellire le facciate delle case in occasione degli eventi più importanti, tra cui ad esempio visite di re e imperatori, nozze di signori, vittorie militari o solenni feste religiose.
Tecnica di esecuzione
L’esecuzione, di qualità abbastanza scadente, rivela il probabile uso di manodopera locale, abituata a una committenza di rango più modesto ed esclusa dalla possibilità di perfezionarsi nelle botteghe cittadine più affermate. La tecnica di lavorazione è molto simile a quella riscontrata nel vicino Palazzo dei Rossi. I medaglioni sembrano delineati da sottili linee incise tracciate a compasso nell’intonaco ancora fresco (Foto 15); mentre per le coppie di puttini (perfettamente identiche tra loro) dobbiamo supporre l’uso di disegni preparatori a spolvero sulla base di cartoni, successivamente ripassati a pennello: l’esame ravvicinato della pellicola pittorica non ha infatti rivelato tracce di disegni preparatori incisi in questi punti. L’uso di un disegno a spolvero, questa volta però ripassato incidendo l’intonaco ancora fresco (metodo dell’incisione diretta), sembra invece probabile nei ritratti a mezzo busto, come provano le tracce di disegno preparatorio inciso (Foto 15). Le linee orizzontali sembrano invece ottenute grazie a una lignola o “battifilo”. Nel punto più alto del fregio, vicino alle ali di uno dei puttini si nota invece una scritta (MATEO), forse la firma di uno degli esecutori (Foto 16, quadrato blu).
Sotto al fregio si notano infine ampie tracce di una scialbatura bianca, apparentemente priva di qualunque traccia di decorazioni (ad esempio un partito architettonico).
Lo stato di conservazione del fregio è purtroppo assai precario. Infatti, sebbene ancora leggibile nel suo complesso, i dettagli risultano in gran parte perduti, soprattutto a causa del degrado differenziale dei colori: il verde, probabilmente identificabile con il “verdeterra” (terra verde) descritto da Cennino Cennini, in molti punti appare infatti totalmente sbiadito; mentre il rosso delle ali dei puttini e dei nastri che sostengono i festoni, quasi certamente costituito da sinopia od ocra rossa, ha mantenuto il proprio aspetto praticamente inalterato. Si nota inoltre la presenza di uno strato di deposito superficiale e numerosi distacchi della pellicola pittorica, che hanno comportato la formazione di lacune di estensione varia. Le vistose ridipinture (Foto 17 e 18) sono invece attribuibili a un restauro di epoca imprecisabile.
Il lato corto e l’edicola con la Madonna
Il lato corto, identificabile con l’originario muro di cinta del giardino, presenta evidentissime tracce di una merlatura ghibellina e dell’originario portone di ingresso ad arco a tutto sesto, successivamente ampliato e modificato (Foto 19). Qui il fregio affrescato risulta totalmente assente, e la decorazione di facciata si limita a una semplice scialbatura bianca arricchita da un sottilissimo filetto rosso subito sotto alla merlatura (Foto 20).
Completa la decorazione una statua della Madonna di terracotta policroma (purtroppo in uno stato di conservazione disastroso a causa dello spesso strato di deposito superficiale, la presenza di estese croste nere, le numerose lacune e la disgregazione della terracotta – Foto 21) posta in una nicchia in stile gotico che coincide esattamente con lo spigolo tra le facciate (Foto 22), che risulta particolarmente interessante sia per lo stile simile a quello di Jacopo della Quercia, sia per la presenza di alcune tracce di colore, soprattutto azzurronelle pieghe del mantello.
Le foto storiche e il progetto di restauro di Alfonso Rubbiani sono tratte da:
– https://collezioni.genusbononiae.it/products/dettaglio/16759
– https://www.sassomarconifoto.it/index.php/territorio/ville-storiche-di-sasso-marconi/palazzo-sanuti/
Le foto recenti sono invece della studiosa indipendente Rita Lotti, che ringrazio sentitamente.