La decorazione affrescata della TORRE QUATTROCENTESCA del borgo di Vimignano-La Scola
Concludiamo oggi la trilogia sulle facciate affrescate rinascimentali dell’Appennino bolognese (che in realtà – grazie alla scoperta di significative tracce di affreschi su un altro edificio rinascimentale a Luminasio – diventerà una quadrilogia) esaminando la decorazione della torre quattrocentesca del borgo di Vimignano – La Scola in comune di Grizzana Morandi, tuttora sostanzialmente inedita. Inoltre – a differenza delle decorazioni del Palazzo de’ Rossi e Palazzo Sanuti a Sasso Marconi, perfettamente coerenti con gli stilemi e le regole compositive delle facciate affrescate quattrocentesche attestate in numerossime città del nord Italia – si tratta di una decorazione con elementi decisamente inconsueti, dai chiari intenti simbolici e apotropaici: un vero e proprio “pezzo unico” dall’altissimo valore storico e documentale.
Nel corso del post cercheremo dunque di ricostruirne l’aspetto originario, i significati simbolici, i materiali e le tecniche di esecuzione.
Metodo di rilievo e stato di conservazione
La decorazione si trova nella fascia sommitale di un tozzo torresotto quattrocentesco (Foto 1), costruito secondo i canoni tipici dell’architettura medievale dell’appennino bolognese: i muri, molto spessi, sono costruiti con una muratura a tessitura disordinata di bozzetti di pietra e ciottoli di fiume (Foto 2), legati con una malta idraulica naturale di colore nocciola usata anche per la confezione dell’intonaco; i cantonali sono invece di grossi conci squadrati rozzamente (Foto 2). Al primo e secondo piano si notano anche alcune piccole finestre rettangolari con la cornice in pietra (Foto 3), alcune delle quali attualmente tamponate, e un altro finestrone semicircolare anch’esso tamponato (Foto 4). I livelli superiori sono invece adibiti a colombaio, come provano le tantissime aperture quadrate o circolari che ne costellano la superficie, alcune bucature più ampie di forma semicircolare e le mensoline in pietra che fungevano da posatoi (Foto 5 e 6).
Lo stato di conservazione è purtroppo molto precario: l’intonaco – di cui restano ampi lacerti solo ai piani superiori – presenta infatti estese lacune, ampie porzioni sollevate, fratturazioni e un diffuso dilavamento della pellicola pittorica superficiale, che in alcuni punti appare totalmente erosa. Il motivo decorativo resta però leggibile grazie alle cospicue tracce residue di colore e al disegno preparatorio inciso.
La decorazione – completamente inaccessibile da terra – è stata rilevata con un drone, grazie all’aiuto del mio amico Claudio Govoni, mentre numerose foto di dettaglio sono state scattate dalla studiosa Rita Lotti con un teleobiettivo: a entrambi devo i miei ringraziamenti più sinceri, perché senza il loro fondamentale contributo questo post non sarebbe nato, e non avrei potuto studiare in dettaglio questa importantissima decorazione. Le foto con il drone, eseguite in modo da minimizzare la deformazione prospettica e prevedere opportuni margini di sovrapposizione, sono state quindi “cucite” con un software di fotogrammetria per ottenere il fotopiano. Questo, a sua volta, è stato usato come base per la ricostruzione ipotetica della decorazione sulla base delle cromie conservate, e per il rilievo del disegno preparatorio inciso.
Descrizione e significato della decorazione
La decorazione si compone di tre elementi distinti. Il primo è un partito architettonico semplicissimo, formato da un bugnato angolare con bugne sfalsate campite uniformemente di grigio-azzurro (probabilmente per simulare la pietra serena) con vistosissimi contorni rossi (Foto 7, 8 e 9), un sottile marcapiano costituito da una semplice fascia rossa (Foto 10) e la cornice – anch’essa rossa – della finestra semicircolare del primo piano (Foto 11), attualmente tamponata; il tutto su uno sfondo uniformemente bianco. Il cornicione, più complesso, consiste invece di una serie di triangoli isosceli allungati alternativamente rossi e grigi azzurri (Foto 7, 8, 9, 12 e 13), muniti di nappine per suggerire una teoria di bandierine appese alla facciata e ornati di cerchietti bianchi (molto irregolari) nella parte sommitale (Foto 12).
Tutti questi elementi erano presenti su tutte le facciate, come provano le evidenti tracce del cornicione, del marcapiano e del bugnato angolare su almeno tre facciate differenti (Foto 9, 10, 13 e 14).
L’elemento più originale e significativo si trova però nella fascia sommitale di una sola facciata (Foto 15 e 16): si tratta di tre grandi “rose carolinge” o “soli delle Alpi” (fiori molto stilizzati a sei petali – Foto 7, 8, 17 e 18), alternati a due mazzi di gigli (fiordalisi) in grandi vasi stilizzati appoggiati direttamente sul marcapiano (Foto 19 e 20). In posizione decentrata si nota anche una piccola croce patente perfettamente inscritta in una cornice circolare.
I soli delle Alpi, tracciati con l’aiuto di un compasso, mostrano tuttora chiare tracce di rosso nei petali centrali e nel bordo esterno, e di grigio-azzurro nei petali più esterni e nelle decorazioni esterne, eseguite a mano libera e diverse una dall’altra: quelle dei soli laterali sono infatti costituite da una teoria di semicerchi grigio azzurri con puntini rossi; mentre quella del sole centrale è simile a una doppia frangia stilizzata.
La stessa policromia – purtroppo assai degradata – si osserva anche nei due mazzi di fiori, con gli steli e probabilmente i vasi (di cui però si conserva il solo disegno preparatorio inciso) di colore grigio azzurro, e minuscoli germogli stilizzati costituiti da puntini rossi.
Il significato simbolico è chiarissimo: nel medioevo e nel rinascimento, e anche nella devozione popolare delle zone montane ancora fiorente nella prima metà del XX secolo, il giglio o fiordaliso è infatti un chiaro simbolo mariano, associato soprattutto all’Annunciazione e alla Resurrezione di Gesù: in molte scene dell’Annunciazione, un giglio bianco viene infatti tenuto in mano dall’Arcangelo Gabriele, o compare in un vaso posto in posizione di rilievo. Si tratta dunque di un potente messaggio di speranza e buona sorte.
Anche il sole delle Alpi è un simbolo diffusissimo fin dall’antichità, e già nel Medioevo veniva dipinto o inciso sugli stipiti di porte e finestre, sui mobili o perfino sugli oggetti d’uso come piatti, brocche, vasi, taglieri, custodie di strumenti agricoli o perfino stampi per il burro: nell’appennino bolognese e modenese, questo simbolo compare anche sugli stampi in pietra, metallo o terracotta per preparare le tigelle, piccole focacce circolari tipiche della cucina povera locale. Il suo simbolismo è assai complesso, perché si tratta essenzialmente di una ruota solare stilizzata, che secondo molti studiosi potrebbe corrispondere a un narciso o una giunchiglia: si tratterebbe dunque di un richiamo ai primi fiori della primavera, e pertanto un simbolo di gioia, speranza e rinascita. É però anche un simbolo cristiano, inciso o dipinto sulle facciate, gli architravi, le colonne e i capitelli di parecchie chiese.
La matrice cristiana della composizione è sottolineata anche dalla croce patente inscritta in un cerchio, un elemento decorativo assai comune già nell’arte romanica.
Questa decorazione, molto probabilmente databile al XV secolo, è perfettamente coerente con l’architettura rurale del XV e XVI nell’appennino Bolognese, in cui mazzi di gigli, soli delle alpi e croci di vario tipo compaiono frequentemente – soli o associati tra loro – come elemento ornamentale scolpito sugli architravi o cornici di porte e finestre. Nel borgo di Vimignano la Scola, si riscontra ad esempio la presenza di:
– una croce (Foto 21 e 22) e un sole delle alpi (Foto 21 e 23) scolpiti sulla cornice esterna di un’edicola o “maestà” del 1481 (Foto 21);
– l’architrave monolitico di una finestra, di forma triangolare e probabilmente quattrocentesco, con un quadrifoglio, un sole delle Alpi a cinque petali, un altro a sei petali dentro una cornice molto elaborata e una croce patente ormai rovinata (Foto 24);
– la cornice di una monofora a sesto acuto con due soli delle Alpi molto erosi e ormai difficilmente riconoscibili, due probabili mazzi di iris, quattro semisfere in rilievo simili a mammelle stilizzate e un possibile stemma completamente scalpellato (Foto 25).
Tecnica di esecuzione
La decorazione è molto “povera”, caratterizzata da uno stile grossolano e tre soli colori economici e facilmente reperibili: il bianco del latte di calce, il grigio azzurro ottenuto schiarendo il nero (probabilmente nerofumo o carbone macinato) con del bianco sangiovanni (un pigmento bianco utilizzato nell’affresco, ottenuto macinando del grassello di calce aerea lasciato seccare) e il rosso, sicuramente identificabile con la sinopia o con l’ocra rossa.
Come dimostra la presenza del disegno preparatorio inciso, la tecnica di esecuzione è l’affresco con il metodo “per pontate“.
Possiamo dunque ipotizzare il seguente ciclo di lavorazione:
1) Stesura dell’intonaco, costituito da un arriccio di colore nocciola chiaro.
2) Realizzazione del disegno preparatorio inciso con il metodo dell’incisione diretta e l’ausilio di vari strumenti: fili a piombo (linee gialle) e cordicelle intrise di pigmento o polvere di carbone (linee rosse) e regoli di legno (linee blu) per le linee verticali e orizzontali, ampi compassi per i fiori della vita (linee verdi). I vasi di fiori e gli steli dei mazzi di gigli sembrano invece tracciati a mano libera, senza l’uso di cartoni o sagome da ricalcare (linee viola).
3) Stesura dello sfondo, consistente in una o due mani di scialbatura bianca, l’ultima delle quali con ampie pennellate perfettamente verticali.
4) Campitura del bugnato, dei trianroli del cornicione, del marcapiano, dei vasi degli iris e dei fiori della vita; e probabile realizzazione degli steli dei mazzi di gigli.
5) Esecuzione dei dettagli, cioè i fiori sugli steli dei gigli, le cornici dei fiori della vita (una diversa dall’altra), la scontornatura del bugnato angolare, le nappine e i cerchietti delle “bandierine” appese, con pennellate rapide, veloci e irregolari.
La decorazione mostra inoltre alcuni gravi errori esecutivi, costituiti soprattutto dal marcapiano e dal bugnato angolare sinistro, vistosamente irregolari e inclinati, dall’asimmetria del bugnato angolare (con i due lati non coincidenti) e dall’irregolarità dei vasi di fiori; che tuttavia contrastano nettamente con l’accuratezza (non scevra da alcuni pentimenti) con cui è stato usato il compasso nel tracciamento dei fiori della vita. Anche la composizione del partito architettonico mostra alcune gravi incertezze, soprattutto in corrispondenza del nodo tra il marcapiano e il bugnato angolare.
Gli esecutori – sebbene inesperti nella composizione ed esecuzione di una facciata affrescata e digiuni delle relative convenzioni grafiche e stilistiche – sembrano però mostrare una certa padronanza di alcuni strumenti del mestiere: a mio parere potrebbe dunque trattarsi di muratori o scalpellini (e non di pittori o frescanti, evidentemente non disponibili in quel momento), avvezzi a utilizzare fili a piombo, compassi e cordicelle per la costruzione di muri ed archi e la bozzatura, rifinitura e decorazione di conci lapidei ed elementi funzionali come architravi, stipiti e davanzali di finestre; ma non abbastanza esperti e veloci da eseguire a regola d’arte una (semplice) decorazione affrescata.