Camminare sul Medioevo: il PONTE DI DOLCEACQUA

Erano anni che desideravo ammirare da vicino uno dei meravigliosi ponti medievali a schiena d’asino che costellano l’Italia ma per vari motivi non c’ero mai riuscita.

E poi all’improvviso è successo!

Sono capitata in questo paesino della Liguria dal nome suggestivo senza sapere nulla del Ponte Romanico o Ponte Vecchio, costruito nei primi anni del XV secolo.

Me lo sono trovata davanti ed è stato amore a prima vista.

Il profilo è estremamente snello, la luce ardita (ben 33 metri), il luogo superbo: proprio vicino al ponte, che tuttora collega le due porzioni del borgo e viene quotidianamente attraversato da molte persone, il fiume fa un’ansa e si trova uno sperone roccioso. In cima sono visibili gli imponenti resti del castello dei Doria, distrutto in un assedio del XVIII secolo e successivamente abbandonato, mentre  più in basso sono arroccate le case del borgo, fitte e compatte, divise da stretti vicoli molto tortuosi.

Claude Monet fu così colpito dalla bellezza di Dolceacqua da ritrarla in ben tre quadri:

Così la descrive nel suo diario: “18 febbraio 1884 Dolceacqua nella Val Nervia: il luogo è superbo, vi è un ponte che è un gioiello di leggerezza…”

Tecnica costruttiva del ponte di Dolceacqua

Come già anticipato, l’attuale Ponte Romanico, così chiamato probabilmente per la sua ovvia somiglianza con i ponti più antichi del XII-XIII secolo come quello della Maddalena a Borgo a Mozzano (Lucca), presenta il tipico profilo di molti altri ponti medievali.

La tecnica costruttiva è quella consueta: un poderoso arco a sesto leggermente ribassato in mattoni, una sovrastante muratura di pietrame appena sbozzato che funge da cassaforma per il riempimento (probabilmente in malta di calce, scaglie di pietra e mattoni spezzati), due basse spallette rettilinee che formano il tipico profilo a schiena d’asino e una carreggiata stradale stretta e ripida pavimentata con un acciottolato a gradini.

La scelta di questa forma, decisamente scomoda per chi attraversava il ponte e soprattutto per i carri perché la carreggiata risulta sempre molto ripida, ovviamente è frutto di una scelta progettuale ben precisa: minimizzare le spinte orizzontali gravanti sulle sponde del fiume o sui piloni centrali nel caso dei ponti a più arcate. L’arco della campata principale è infatti sempre a sesto leggermente ribassato, a tutto sesto o addirittura a sesto acuto. Il risultato è una forma ardita ed elegante con imposte tozze e la porzione centrale estremamente sottile.

Ma l’esemplare di Dolceacqua riserva una curiosa particolarità, consistente nei resti di un secondo ponte inglobati nella costruzione. Infatti, esaminando con attenzione il piede dell’estremità destra corrispondente alla porzione principale del paese, si nota il vistoso troncone di un arco in mattoni (campitura gialla) di cui si conserva il solo tratto dall’imposta alle reni: si tratta molto probabilmente di un ponte più antico identico a quello attuale ma leggermente più stretto e con una curvatura più accentuata, distrutto da una piena del Nervia o in seguito a guerre e scorrerie.

Questo troncone è stato inoltre utilizzato come appoggio per due ordini di archetti di sostegno (campitura verde) che sorreggono il tratto di strada in ripida salita che raccorda il ponte alla via che costeggia il Nervia.

Dissesti e restauri

Il ponte di Dolceacqua nella sua lunga storia ha ovviamente subito numerosi dissesti e restauri, ma la struttura è ancora quella medievale. Le alterazioni subite sono quindi trascurabili.

Esaminando le foto con attenzione si nota ad esempio un dissesto ormai storicizzato per instabilità del campo centrale probabilmente dovuto a carichi eccentrici [per la spiegazione dettagliata del fenomeno si rimanda a questo post], che ha comportato la deformazione della porzione sinistra dell’arco di sostegno (cerchio blu).

Elaborazione di una foto tratta dal sito http://rete.comuni-italiani.it

Sono evidenti anche le tracce di un antico consolidamento consistente nell’installazione in corrispondenza della ghiera dell’arco in mattoni di cinque catene con capochiave a paletto disposte a intervalli regolari (frecce rosse), molto probabilmente finalizzate a esercitare un’azione di confinamento della muratura e a contrastare la rotazione reciproca e l’apertura delle opposte pareti dell’arco. Questo intervento – che spesso prevede anche l’installazione di cuciture puntuali all’intradosso dell’arco – è comune nei ponti a schiena d’asino: possiamo osservarlo ad esempio nel Ponte degli Alidosi a Castel del Rio in provincia di Bologna (1499), nel Ponte Romano di Fugazzolo di Berceto (Parma, XV-XVI secolo) e nel Ponte di Fontainemore in Valle d’Aosta (XIII secolo).

Non mancarono inoltre interventi localizzati di manutenzione ordinaria, comprendenti ad esempio la parziale ricostruzione delle spallette: in un bar di Dolceacqua è infatti visibile un grande pannello ornamentale che riproduce una fotografia probabilmente degli anni ’30 del Novecento, che documenta il ponte regolarmente utilizzato ma con le spallette parzialmente crollate in vari punti. Questa fotografia costituisce inoltre un termine ante quem per l’installazione delle catene, chiaramente visibili.


Fonti e approfondimenti

Le immagini dei quadri di Monet sono tratte dal sito www.dolceacqua.it
Per approfondimenti sulle tecniche costruttive, il degrado e il consolidamento dei ponti in muratura si veda l’articolo Verifiche statiche e interventi di consolidamento nei ponti in muratura del professor Lorenzo Jurinahttp://www.cias-italia.it/PDF/169.pdf

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *