Rissêu, sgraffiti e fontane cinquecentesche nel CASTELLO DI DOLCEACQUA

Il paese di Dolceacqua, famoso per il ponte medievale che ha incantato Monet, è sovrastato dagli imponenti ruderi dell’antico castello dei Doria, abbandonato fin dal XVIII secolo.

Il castello, attestato fin dal XII secolo, nel 1277 venne acquistato da Oberto Doria (capostipite della dinastia che darà molti dogi alla Repubblica di Genova) e in seguito più volte rimaneggiato nei secoli, trasformandosi in una grandiosa residenza signorile con imponenti fortificazioni. Il 27 luglio 1744, durante un episodio della guerra di successione austriaca, venne parzialmente distrutto in seguito a un pesante bombardamento delle artiglierie franco-spagnole, attestate in una posizione più elevata.

Poiché evidentemente le riparazioni risultarono troppo costose, i Doria si trasferirono in un altro palazzo abbandonando il castello al suo destino. Il terremoto del 1887 causò altri danni all’edificio, che nel 1942 passò finalmente al Comune di Dolceacqua. Oggi, dopo un importante intervento di valorizzazione e restauro, è parzialmente adibito a museo.

LA STRUTTURA ARCHITETTONICA

Il Castello di Dolceacqua è molto importante sotto vari punti di vista: paesaggistico per la sua posizione arroccata su un massiccio sperone roccioso; storico e ovviamente architettonico, a causa sia della sua imponente struttura fortificata, sia dei significativi resti delle decorazioni originali.

Il nucleo più antico, databile al XII secolo, era costituito da una torre circolare tuttora visibile e da un edificio più piccolo adibito a caserma per la guarnigione.
Nel XVI secolo l’allora feudatario Stefano Doria intraprese importanti lavori di ampliamento e ristrutturazione che comportarono l’aggiunta di un bastione speronato e di due torri gemelle a pianta quadrata, e inoltre l’esecuzione di molte delle decorazioni tuttora esistenti tra cui la fontana del cortile interno e probabilmente l’intonaco delle facciate.

Il complesso risulta quindi suddiviso in due parti ben distinte: quella anteriore destinata a funzioni di servizio (uffici amministrativi, prigione, magazzini e sede della guarnigione) e quella posteriore con la residenza dei Signori e i locali di rappresentanza.

LE PAVIMENTAZIONI A RISSÊU

Il castello conserva ben tre esemplari di rissêu, o acciottolati a disegni tipici della Liguria.
Costituiti in questo caso da ciottoli grigi, bianchi e neri, anche se di esecuzione non molto raffinata sono tuttavia molto significativi per le tracce di antiche riparazioni, l’ottimo stato di conservazione e la loro possibile antichità: il chiostro della Certosa di San Bartolomeo a Genova Rivarolo conserva infatti un esteso e preziosissimi rissêu databile al 1570-1577 che, per il materiali (ciottoli bianchi e neri) e le modalità di posa in opera, ricorda abbastanza da vicino lo stemma Doria dell’ingresso.

Stemma dei Doria

L’atrio di ingresso del castello è pavimentato con un acciottolato rustico di grossi ciottoli grigiastri di forma allungata posti di coltello, al centro del quale campeggia uno stemma Doria, costituito da un’aquila monocefala nera su sfondo bianco. La fattura è abbastanza elaborata: l’aquila e lo sfondo sono infatti formati da piccoli sassolini arrotondati disposti con cura e circondati da una doppia cornice formata da tre file concentriche di grossi ciottoli grigi e un’ulteriore bordura di ciottoli bianchi (Foto 1).
Subito sopra e alla destra dello stemma sono inoltre visibili due porzioni di acciottolato identiche a quello dell’aquila, probabilmente relative decorazioni a tema araldico (come corone, cimieri o lambrecchini) purtroppo ormai illeggibili: la pavimentazione attorno e sopra lo stemma appare infatti molto eterogenea (Foto 2), come se fosse stata sottoposta a numerose riparazioni per un periodo molto prolungato. Anche le porzioni originali – o comunque frutto di un rifacimento complessivo – dell’acciottolato rustico si riconoscono facilmente per la loro tessitura ordinata in file orizzontali parallele.

Pavimentazione della galleria

Al cortile interno si accede da una galleria a gradoni, anticamente percorribile a cavallo e pavimentata con un semplicissimo acciottolato grigio con un motivo a semicerchi bianchi (Foto 3), di datazione assai difficoltosa. La tessitura è abbastanza ordinata, mentre i gradoni sono bordati da grosse scaglie di pietra grigia appena sbozzate (Foto 4).

Tappeto del cortile

Anche la pavimentazione del cortile ostenta una decorazione molto particolare costituita da un vero e proprio tappeto rettangolare formato da file di ciottoli con tessitura molto ordinata, circondato da un’ampia fascia di cancorrenti bianchi a sua volta bordata da una fila di ciottoli bianchi all’interno e da una fila di ciottoli grigi all’esterno (Foto 5), il tutto inserito in un acciottolato rustico di ottima qualità. Il motivo a cancorrenti si caratterizza invece per una tessitura abbastanza casuale, e in alcuni punti risulta purtroppo scarsamente leggibile per la presenza di piccole lacune (Foto 6) e di antiche riparazioni di fattura grossolana (Foto 7).

L’INTONACO DECORATO A SGRAFFITO

Un altro elemento di estremo interesse sono gli ampi lacerti di una decorazione a sgraffito caratterizzata da due strati di intonaco di colore rispettivamente grigio (strato inferiore) e bianco (strato superiore), di probabile datazione cinquecentesca (Foto 8).

La decorazione è formata da:

Torri laterali
Particolare delle cornici delle finestre, del marcadavanzale e delle fasce angolari dell’intonaco a sgraffito di una delle torri laterali

– una scansione geometrica della superficie per mezzo di semplici fasce bianche in corrispondenza degli spigoli dell’edificio, del davanzale e dell’architrave delle finestre (Foto 9);
tra le finestre una specchiatura rettangolare con motivi geometrici (due losanghe circondate da quattro elementi vegetali – Foto 10) purtroppo scarsamente leggibili a causa della loro posizione molto scorciata;
– cornici delle finestre costituite da semplici fasce bianche con orecchioni a loro volta suddivise da tre profonde incisioni a forma di V (bisellatureFoto 11);
– in corrispondenza del coronamento di ciascuna torre, costituito da un’altana con due arcate a tutto sesto, un partito architettonico (Foto 12) formato da un alto stilobate arricchito da specchiature rettangolari aggettanti di intonaco sagomato (Foto 13), colonne tuscaniche con pulvini con decorazioni floreali e una semplice trabeazione, anch’essa di intonaco sagomato (Foto 14).

Facciata principale

In base ai pochissimi lacerti di intonaco ancora esistente è possibile ipotizzare che la decorazione fosse sostanzialmente identica a quella delle torri laterali. L’unica significativa differenza è costituita dal fregio sommitale con un motivo a cancorrenti (Foto 15), molto simile, per stile, cromia e impostazioni generali, alla pavimentazione del cortile interno.

Ipotesi di datazione e alcune considerazioni
Particolare dei capitelli tuscanici e dei pulvini delle colonne del partito architettonico sommitale

La decorazione è difficilmente databile in base a sole considerazioni stilistiche, ma tenendo conto che il castello di Dolceacqua subì un radicale intervento di ristrutturazione nel XVI secolo e che proprio in tale periodo lo sgraffito era molto diffusa per poi cadere praticamente in disuso in epoca barocca, a mio parere l’intonaco decorato fu realizzato nel ‘500.
L’ipotesi sembra rafforzata anche dalla particolare tecnica utilizzata, estremamente simile a quella descritta da Giorgio Vasari ne Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori (1568), e inoltre dalla presenza di alcuni elementi ornamentali di ispirazione manierista, come i pulvini delle colonne del partito architettonico sommitale (Foto 14).

Tuttavia, rispetto ad altre facciate sgraffite cinquecentesche, tra cui ad esempio il palazzo di Bianca Cappello a Firenze, la decorazione si presenta molto più semplice e stilizzata, essendo basata esclusivamente sulla contrapposizione tra sfondo e campiture prive di effetti a chiaroscuro. Questo fatto mi sembra però facilmente spiegabile con la particolare posizione del castello sulla cima di uno sperone roccioso, che – rendendo praticamente impossibile osservare le facciate a distanza ravvicinata – avrebbe impedito di apprezzare a pieno un disegno complesso e dettagliato.

Particolare del fregio a cancorrenti della facciata principale, molto simile al rissêu del cortile interno

Non è inoltre da escludere che in origine alcune porzioni delle facciate – magari proprio quelle in cui l’intonaco è ormai caduto – fossero decorate anche da affreschi o dipinti a fresco secco, ora del tutto perduti in seguito alla lunga esposizione alle intemperie.

Molto significativa mi sembra inoltre la grandissima somiglianza tra il fregio sommitale del fronte principale (Foto 15) e la pavimentazione del cortile interno (Foto 5), che a mio parere potrebbero far parte di un disegno unitario: se questo fosse vero e la mia ipotesi di datazione dell’intonaco decorato risultasse corretta, anche il rissêu risalirebbe al XVI secolo.

LA FONTANA CINQUECENTESCA E ALTRE DECORAZIONI

Sicuramente cinquecentesca è invece la fontana del cortile interno, posizionata a ridosso della scala di accesso a una terrazza superiore, e formata da una vasca semicircolare di muratura in pietrame e da una piccola nicchia strutturata come un ninfeo, in cui si trovava probabilmente una piccola statua da cui sgorgava l’acqua (Foto 16).
Il suo stato di conservazione è purtroppo decisamente precario: dell’originaria decorazione, forse originariamente costituiti da mosaici di conchiglie, sassolini e tessere in pasta vitrea ispirati alle grotte matine, si conserva infatti solo una grande valva di conchiglia di stucco in corrispondenza dell’abside della nicchia.
La fontana aveva una duplice funzione: pratica, come principale fonte di approvvigionamento idrico per questa parte del castello, e ovviamente decorativa, come elemento di distinzione e caratterizzazione architettonica dell’intero cortile.

Su un’altra scala che dava accesso a un secondo livello più alto (attualmente transennata e chiuso al pubblico) si notano infine alcune piccole tracce di piastrelle di maiolica policroma, sicuramente i resti del rivestimento delle alzate di ciascun gradino (Foto 17 e 18).
In Liguria l’uso di tali piastrelle – di produzione locale oppure importate da Spagna e Portogallo – per rivestire le pareti degli ambienti di rappresentanza e decorare scale, fontane e giardini è attestato fin dal XV-XVI secolo: localmente chiamate laggioni, si caratterizzavano per le loro coloratissimi disegni a rilievo con motivi geometrici o florali.
La scarsità dei resti conservati – i piccoli frammenti derivanti dalla rottura di alcune piastrelle e le impronte sulla malta di allettamento del retro di alcune altre (Foto 18) – rendono impossibile qualsiasi tentativo di ricostruzione della decorazione originaria.

Sia l’assenza di statue e rivestimenti della fontana, sia la sistematica asportazione delle piastrelle di maiolica a mio parere risultano facilmente spiegabili con la volontà di recuperare e riutilizzare materiali pregiati, oppure con il semplice furto in seguito al lungo abbandono dell’edificio.

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