La GHIACCIAIA MONUMENTALE di Neive
Comincia oggi una serie di ben otto post dedicati all’architettura e ai paesaggi rurali tradizionali, ormai minacciati e perciò da conservare assolutamente:
1) la ghiacciaia monumentale di Neive;
2) tipologie e tecnica di costruzione dei muri a secco;
3) i vigneti terrazzati del Canavese;
4) le stalle urbane e rurali nell’Emilia del XIX secolo;
5) i mandolati, o graticci di cotto dell’edilizia rurale dell’Italia centrale e settentrionale;
6) la calchera di Lasino;
7) gli ingressi monumentali delle ville di campagna emiliane;
8) paesaggio rurale e devozione popolare: edicole e croci di pietra.
Antichi metodi per la conservazione dei cibi: GHIACCIAIE E NEVIERE
Prima dell’invenzione del frigorifero a metà dell’800, la conservazione dei cibi risultava molto difficoltosa e si cercava di provvedere con adeguati metodi di preparazione come la conservazione sotto sale, olio o aceto; la confezione di conserve e marmellate; l’essicazione o l’affumicamento.
Per le scorte a lunga conservazione come formaggio, olio, vino, legumi, verdure e cereali una soluzione molto comune era la costruzione di dispense o cantine interrate oppure – nelle ville di campagna o nei palazzi gentilizi dotati di ampi giardini – di vere e proprie ghiacciaie e neviere.
Si tratta di costruzioni semplici ma molto ingegnose quasi sempre esposte a nord, del tutto o parzialmente interrate e con muri spessi atti al mantenimento di una temperatura bassa e costante.
Talvolta molto grandi, servivano a immagazzinare grandi quantità di neve e ghiaccio raccolte nei mesi freddi o trasportate appositamente dai monti. Non avevano una forma codificata, ma erano quasi sempre coniche, cilindriche oppure formate da tante piccole stanze collegate tra loro. Cisterne e canalizzazioni raccoglievano l’acqua di scioglimento per riutilizzarla nella vita domestica.
A cadenze regolari si prelevava dalla ghiacciaia un blocco di ghiaccio o neve pressata, che veniva riposto nella dispensa a stretto contatto con le derrate. Una ghiacciaia ben costruita riusciva a fornire ghiaccio persino in estate.
La GHIACCIAIA CINQUECENTESCA di Neive
La ghiacciaia di Neive (un piccolo paese nelle Langhe cuneesi) era originariamente annessa a un palazzo gentilizio e viene tuttora utilizzata come cantina da un’azienda agricola del paese, perché a distanza di molti secoli il suo funzionamento risulta ancora perfetto, garantendo un clima ideale per la conservazione del vino senza alcun impianto moderno.
Vi si accede da un semplice edificio di servizio in muratura con tetto a due falde, anticamente adibito anche a deposito e cantina (Foto 1). Sull’architrave di pietra bianca è visibile la data di costruzione (1582 – Foto 2). La sua struttura, completamente sotterranea e sviluppata in lunghezza sotto al giardino dell’attigua villa padronale, è impressionante: dopo aver sceso una scala si apre un lungo corridoio in discesa con andamento leggermente curvilineo (Foto 3 e 4), pavimentato ad acciottolato e coperto da una volta a botte nella quale si aprono a distanze regolari piccoli condotti circolari (Foto 5) utilizzati come prese di aria e luce e anche per introdurre la neve in inverno.
Ai due lati del corridoio si aprono piccole celle rettangolari coperte da volte a botte in mattoni (Foto 6 e 7). Uno spesso strato di concrezioni calcaree testimonia l’uso ininterrotto del luogo (Foto 8). Il ghiaccio e la neve venivano immagazzinati sia trasportandoli a mano nelle vasche in muratura appositamente predisposte nelle cellette laterali (Foto 9), sia facendoli semplicemente cadere nel corridoio centrale attraverso i condotti di ventilazione. Piccole nicchie a intervalli regolari consentivano di appoggiare le lanterne o lampade a olio che illuminavano l’ambiente durante le operazioni (Foto 10).
Al termine del corridoio si trova una stanza più grande pavimentato ad ammattonato (Foto 11) e sotto alla quale si trova una cisterna sotterranea accessibile da una botola circolare con un pesante coperchio di pietra (Foto 12). L’acqua prodotta dallo scioglimento del ghiaccio veniva infatti convogliata dalle vasche alla cisterna mediante due piccole canalette di scolo in mattoni (Foto 13 e 14) e quindi prelevata per i vari usi attraverso un condotto (Foto 15) a cui in superficie corrispondeva certamente una vera da pozzo con secchio e carrucola.
In questo modo si risolvevano in un colpo sono efficacemente due importanti problemi: l’approvvigionamento dell’acqua e la conservazione del cibo.
Le Foto 2, 3, 5, 6, 7, 8 e 11 sono di Alessandro Ticci, che ringrazio di cuore.
articolo perfetto grazie