I MURETTI A SECCO, tecnica e attestazioni

Secondo post dedicato all’architettura e ai paesaggi rurali tradizionali, questa volta relativo ai muretti a secco.


I MURETTI A SECCO, da tradizione millenaria a fonte di ricchezza

I muri a secco – cioè costruiti da conci, ciottoli o scaglie di pietrame senza malta – sono una delle tecniche costruttive più antiche, utilizzata fin dalla preistoria in qualunque continente.

In Italia li troviamo dalle Alpi alla Sicilia in numerose applicazioni:
edifici rurali di servizio come forni, stalle, pollai, rimesse e porcilaie;
strutture abitative vernacolari, tra cui ad esempio i famosissimi trulli della Puglia centro-meridionale;
muri di cinta di orti e giardini, alti un paio di metri o più bassi come semplice difesa dalle intrusioni di animali;
barriere frangivento per la protezione di colture particolarmente delicate (Foto 1);
sostruzioni per la costruzione di terrazzamenti nei pendii molto scoscesi (Foto 2, 3 e 4).

Quest’ultima è forse l’applicazione più interessante, perché in grado di dar vita a interi paesaggi: troviamo infatti coltivazione terrazzate in Liguria, Valle d’Aosta (Foto 2), Ischia e alcune zone del Piemonte e della Toscana (Foto 3). Si tratta spesso di costruzioni secolari, riparate e restaurate per generazioni, in grado di svolgere anche un’ottima funzione come presidio idrogeologico grazie alla loro capacità di trattenere il terreno e assicurare un corretto drenaggio e scorrimento dell’acqua piovana (Foto 4).
Paesaggi duri e impervi, testimoni di fatiche spesso sovrumane per raccogliere, trasportare e posizionare le pietre dei muretti; livellare e dissodare la terra; piantare le coltivazioni e trasportare il raccolto a valle con le gerle a spalla, arrampicandosi per ripide scalette spesso assai precarie. La coltivazione della vite in queste condizioni ha un nome molto evocativo: viticoltura eroica.

Muro a secco per il sostegno di un terrazzamento a Lamole nel Chianti. Foto di Alessandro Ticci

Paesaggi meravigliosi e in perfetta armonia con la natura oggi a rischio di estinzione, perché la manutenzione dei muretti a secco è costosa e richiede manodopera esperta, mentre le coltivazioni sono scomode e relativamente poco produttive.
Tuttavia salvare gli appezzamenti terrazzati è fondamentale per almeno quattro ragioni:
– il loro assoluto pregio paesaggistico;
– il proficuo uso di terreni impervi, altrimenti marginali e destinati all’abbandono;
– la rivalutazione dei saperi artigianali;
– il contributo alla mitigazione del rischio idrogeologico, perché un terrazzamento abbandonato presto o tardi crolla, causando minuscole frane localizzate e favorendo il ruscellamento delle acque (Foto 4).

Tutto questo si traduce in ricchezza: eccellenti vini, turismo eno-gastronomico di qualità in zone già ricchissime di tesori d’arte, minori danni in caso di piogge e inondazioni, creazione di posti di lavoro nei più disparati campi (dalla ristorazione alle cantine, dalla manutenzione dei muretti all’accoglienza turistica, dagli architetti paesaggisti agli agronomi).

Ma come tutelare questo immenso patrimonio?
Seguendo alcuni semplici principi:
non distruggere i muretti a secco conservati;
restaurare o ricostruire quelli parzialmente o completamente crollati;
curare la manutenzione di quelli ancora in uso;
costruirne di nuovi in sostituzione dei muri di contenimento di cemento armato;
– studiarne le tecniche costruttive, divulgarne l’esistenza e sottolineare il loro ruolo: il mio post è un piccolo contributo a tutto questo.

Tecniche costruttive e tipologie di MURI A SECCO PER TERRAZZAMENTI

Esistono numerose varianti nelle tecniche costruttive dei muretti a secco per il sostegno dei terrazzamenti, perché ogni zona le ha adattate alle proprie caratteristiche peculiari: le maggiori differenze riguardano il materiale lapideo utilizzato, l’altezza dei terrazzamenti, la forma e dimensione delle pietre.

I materiali sono ovviamente quelli reperibili sul posto: arenaria, pietra serena, travertino e calcare alberese in Toscana (Foto 5); ardesia in Liguria; tufo e basalto nelle zone vulcaniche come il Lazio, la Sicilia o la Campania; porfido, scaglia veneta e calcare ammonitico in Trentino; calcare giallo in Puglia e così via.

Anche la forma dei conci dipende strettamente dalla tipologia di rocce reperibili sul posto: i muretti a secco del Canavese in provincia di Torino sono ad esempio costituiti quasi esclusivamente da ciottoli arrotondati tratti dalle colline di un antico anfiteatro morenico (Foto 6), mentre a Point Sant Martin e Morgeux in Valle d’Aosta sono usati grandi massi irregolari o scaglie di una pietra locale caratterizzata da evidenti strati orizzontali. I conci sono molto variabili anche nelle dimensioni, perché si utilizzavano pietre di recupero dalla demolizione di edifici, rocce rinvenute sul posto durante l’aratura e appositamente accantonate, scaglie e scarti di lavorazione delle cave o sassi e ciottoli raccolti su un pendio o nel greto di un torrente.
La tessitura è quasi sempre irregolare e raramente presenta corsi orizzontali definiti: le uniche eccezioni sono i muretti di ciottoli rotondeggianti, disposti ordinatamente a quinconce per bilanciare le spinte reciproche dei pezzi in un complesso gioco di equilibri (Foto 6).

Terrazzamenti coltivati a vite a Dolceacqua in provincia di Imperia. Foto di Alessandro Ticci

L’altezza complessiva varia considerevolmente: da circa un metro e mezzo a oltre tre metri in alcuni terrazzamenti di Pont Saint Martin con dimensioni eccezionali (Foto 7), particolarmente notevole anche per l’uso di enormi massi nella costruzione delle porzioni basamentali. Quando possibile si cercava inoltre di inglobare nella costruzione le rocce affioranti nel terreno – estremamente comuni nei pendii montani – sia per risparmiare tempo e fatica sia per irrobustire la muratura: ne vediamo alcuni esempi a Bollengo e Settimo Vittone (Torino).

In caso di muri ad angolo (evenienza abbastanza rara) i cantonali vengono risolti come nei comuni edifici in pietrame, cioè disponendo conci più grandi e con forma tendenzialmente rettangolare in corrispondenza dello spigolo (Foto 5 e 9). La porzione terminale di un singolo muretto può invece venire sagomata con andamento a scarpa con inclinazione fino a 45° (Foto 8).
Per accedere ai terrazzamenti sono attestate scale e rampe ricavate in vari modi:
– nello spessore del terrazzamento, semplicemente interrompendo e rigirando internamente il muretto, come in questo esempio di Lamole nel Chianti elegantemente decorato anche da due blocchi sferici (Foto 9);
davanti al terrazzamento, come si nota a Pont Sain Martin (Foto 10): si tratta di una costruzione ingegnosa, interamente realizzata a secco, che dimostra un’altissima perizia costruttiva;
– mediante grosse scaglie in pietra inserite a distanze regolari nella muratura a secco, come avviene ad esempio ad Arvier in Valle d’Aosta (Foto 11).

La tecnica costruttiva è leggermente diversa nel caso di un muro isolato e di un terrazzamento.

Nel primo caso occorrono infatti almeno due persone che lavorano contemporaneamente, perché la muratura è di tipo a sacco, cioè formata da due paramenti esterni in grossi conci e un riempimento di scaglie di pietrame più minute: lo si nota molto bene in questo esempio di Settimo Vittone (Foto 12). Lo spessore alla base è pari a circa metà dell’altezza complessiva, mentre la sezione presenta un profilo a trapezio isoscele, cosicché il muretto è molto più sottile in sommità. La cimasa è costituite da grosse pietre piatte di larghezza pari allo spessore sommitale del muretto (Foto 13).

I suggestivi vigneti terrazzati di Pont Saint Martin in Valle d’Aosta, costruiti con muri di sostegno a secco tra enormi massi affioranti dal terreno

La costruzione avviene sistemando prima le pietre più grandi, sfalsando accuratamente i giunti verticali rinzeppando le cavità con scaglie più piccole. Le fughe vanno lasciate vuote, senza sigillarle con terra, fango o argilla. Il riempimento dev’essere ben costipato. Le due facce vanno eseguite contemporaneamente, cioè innalzando il muro per l’intera sua lunghezza e partendo dalle estremità.

La tecnica costruttiva dei muri di contenimento dei terrazzamenti è simile ma prevede un solo paramento, con il lato posteriore del terreno perfettamente verticale per bilanciare la spinta del terreno. Inoltre, quando possibile, vengono inglobati nella costruzione i massi affioranti dal terreno (talvolta di proporzioni davvero enormi) al duplice scopo di agevolare la costruzione del muro e renderlo più solido appoggiandolo alla roccia (Foto 14 e 15).

Si devono infine ricavare:
– una sorta di cassa di compensazione tra il muro di sostegno e il terreno retrostante formata da un’intercapedine riempita di pietrisco ben costipato, allo scopo di favorire il drenaggio delle acque;
– degli appositi fori e canalizzazioni per lo scorrimento delle acque, in Toscana noti come acquidocci (Foto 16cerchi rossi).


Per maggiori approfondimenti sulle tecniche di costruzione e manutenzione dei muri di contenimento si veda il Manuale per la costruzione di muri a secco – Linee guida per la manutenzione dei terrazzamenti delle Cinque Terre a cura dell’ente Parco Nazionale delle Cinque Terre.

Le Foto 135911 e alcune di quelle nel corpo del post sono di Alessandro Ticci, che ringrazio di cuore.

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