Archeologia sperimentale: il VERDIGRIS o VERDERAME
Nota – Vorrei ringraziare pubblicamente Ivano Ziggiotti perché il suo post sul gruppo facebook “Associazione terre coloranti” mi da dato l’idea di lanciarmi in quest’avventura 🙂
Fino al XVIII e soprattutto XIX secolo, con la massiccia diffusione dei pigmenti industriali, i pittori tendenzialmente si fabbricavano da soli i colori di cui avevano bisogno, con una serie di procedimenti che facevano parte del bagaglio tecnico, pratico e teorico di chiunque si occupasse di affresco, miniatura, pittura su stoffa o tempera su tavola. I pigmenti, numerosi, potevano essere di tipo inorganico, cioè a base di minerali (sotto forma sia di pietre o terre naturali macinate, sia del prodotto di reazioni chimiche appositamente riprodotte “a bottega”), oppure di tipo organico, cioè ricavati da animali o vegetali. Ciascun pigmento aveva dunque caratteristiche ben note in relazione alle tecniche in cui poteva essere utilizzato con successo, ai metodi di preparazione e alle eventuali “intolleranze” con gli altri pigmenti.
Nel suo trattatello Il Libro dell’Arte (il più antico manuale di pittura in italiano a noi pervenuto, scritto negli ultimissimi anni del XIV secolo) Cennino Cennini descrive perfettamente numerosi pigmenti usati dai pittori medievali: uno di questi è il verderame o verdigris, com’era altrimenti noto. Siccome la sua fabbricazione è veramente semplice (ma richiede alcune precauzioni) ho provato a riprodurlo in una vera e propria esperienza di archeologia sperimentale.
Il VERDERAME negli scritti di Cennino Cennini
Per prima cosa ecco la descrizione integrale di Cennino:
“Capitolo LVI.
Della natura di un verde che si chiama verderame.
Verde è un colore il quale si chiama verderame. Per se medesimo è verde assai; ed è artificiato con archimia, cioè di rame e di aceto. Questo colore è buono in tavola, temperato con colla. Guarda di none avvicinarlo mai con biacca, perché in tutto sono inimici mortali. Trialo con aceto, che ritiene secondo suo’ natura. E se vuoi fare un verde in erba perfettissimo, è bello all’occhio, ma non dura. Ed è buono più in carta o bambagina o pecorina, temperato con rossume d’uovo“.
In effetti, dal punto di vista chimico il verderame o verdigris è acetato rameico, un composto che si ottiene semplicemente esponendo del rame all’acido acetico. É un composto inodore, di una bellissima tonalità di verde-azzurro, che tuttavia, se inalato o ingerito può risultare velenoso. Veniva normalmente utilizzato per la pittura su tavola con la tempera all’uovo o per la miniatura su carta o pergamena. Non è invece adatto all’affresco, al mezzo fresco o alla pittura a calce perché la basicità di quest’ultima avrebbe provocato un progressivo schiarimento della tinta: al riguardo, Cennino dice infatti chiaramente che “Ogni colore che lavori in fresco, puoi anche lavorare in secco [cioè a tempera – ndr]; ma in fresco sono colori che non si può lavorare, come orpimento, cinabro, azzurro della magna, minio, biacca, verderame, e lacca”. Cennino consiglia inoltre di stemperare, cioè schiarire, il verderame con “giallorino” o giallo di Napoli (prodotto artificialmente o ricavato naturalmente macinando il diaspro giallo), evitando invece di mescolarlo con la biacca in quanto “inimici mortali“: in realtà, le analisi diagnostiche su vari dipinti medievali e rinascimentali in cui il verderame è stato schiarito con biacca non hanno dimostrato una reale incompatibilità.
Il colore più comune del verderame – al netto delle piccole variazioni naturali – secondo alcune nomenclature è:
– sistema RGB 67, 169, 174
– Pantone 43B3AE.
Attenzione però a non confondere il verderame con il solfato di rame, un pigmento (chiamato dai contadini appunto “rame” o “verderame“) che si forma naturalmente in seguito all’ossidazione di manufatti (ad esempio statue) in rame o bronzo e che viene impiegato insieme al grassello di calce in due modi distinti:
– nella “poltiglia bordolese“, un fitofarmaco soprattutto per le viti e gli alberi da frutto;
– per fare la “calce blu“, una tinteggiatura economica di un bell’azzurro chiaro.
Il VERDERAME nella doratura
Cennino tuttavia descrive un’altra applicazione del verderame, e cioè la preparazione di “mordenti“, sostanze adesive da usare come strato preparatorio per la doratura con la tecnica “a guazzo” (normalmente usata per la pittura su tavola) oppure “a missione”, più comune nella realizzazione delle aureole negli affreschi a tema religioso.
Ecco la descrizione dei passi principali:
“Capitolo CLI.
Il modo di fare un buon mordente per mettere d’oro panni e adornamenti.
El si fa un mordente, il quale è perfetto in muro, in tavola, in vetro, in ferro, e in ciascheduno luogo; il quale si fa in questo modo. Tu torrai il tuo olio cotto al fuoco o al sole, cotto per quel modo che indietro t’ho mostrato; e tria con questo olio un poco di biacca e di verderame; e quando l’hai triato come acqua, mettivi dentro un poco di vernice, e lascialo bollire un poco ogni cosa insieme. Poi togli un tuo vasellino invetriato, e mettivilo dentro, e lascialo godere. E come ne vuoi adoperare, o per panni o per adornamenti, togline un poco in un vasellino, e uno pennello di vaio […]. Poi intigni poca cosa della punta in nel mordente, e lavora i tuoi adornamenti e i tuo’ fregi“.
Dunque questo mordente risultava composto da olio siccativo (ad esempio olio di lino), biacca e verderame. In questo caso il verderame serviva soprattutto a colorare il mordente, che doveva essere verde per due buoni motivi:
1) riconoscere a prima vista le zone in cui applicare la (costosissima) foglia d’oro;
2) attribuire alle campiture dorate un tono leggermente freddo: poiché infatti la foglia d’oro era sottilissima, conservava un minimo grado di trasparenza che lasciava intravvedere il colore dello strato preparatorio. Se invece si desiderava una tonalità più calda si usava uno strato preparatorio a base di bolo, un’argilla rossa usata anche come pigmento nell’affresco.
Il verderame tuttavia aveva anche il potere di accelerare la “maturazione” del mordente, a scapito però della sua durata nel tempo. L’aggiunta di parecchio verderame al mordente ne consentiva la maturazione entro 24 ore (“dall’un vespero all’altro”, per usare le parole di Cennino) anche se occorreva utilizzarlo subito; mentre l’aggiunta di poco verderame rendeva utilizzabile il mordente entro quattro giorni. Se infine si voleva preparare un mordente che si conservasse per una settimana, non si doveva usare il verderame.
Come sempre, ecco la descrizione di Cennino:
“Capitolo CLII.
Come puoi temperare questo mordente per mettere più presto d’oro.
Se vuoi che questo mordente, detto di sopra, duri otto dì; innanzi che sia da mettere d’oro, non vi mettere verderame. Se vuoi che duri quattro dì, mettivi un poco di verderame. Se vuoi che ’l mordente sia buono dall’un vespero all’altro, mettivi dentro assai verderame, e ancora un miccino di bolo. E se trovassi che nessuna persona ti biasimasse il verderame, perchè non pervenisse a contaminare l’oro, lásciati dire; chè io l’ho provato che l’oro si conserva bene”.
Produzione artigianale del VERDERAME
Veniamo adesso alla mia esperienza di ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE, consistente nella preparazione artigianale di un campione di verderame.
Il procedimento, semplicissimo e alla portata di tutti, era già ben noto agli antichi Greci e Romani, perché il primo a descriverlo fu il filosofo e naturalista Teofrasto di Ereso nel IV secolo a.C. Lo stesso Cennino fornisce soltanto informazioni assai sommarie sulla preparazione del verderame, perché il procedimento doveva essere di pubblico dominio: si tratta semplicemente di esporre un campione di rame ai vapori dell’aceto, fino alla completa formazione sullo stesso di una patina di un colore verde acceso.
MATERIALI OCCORRENTI
Fase 1 (preparazione del barattolo)
– un vaso di vetro preferibilmente con il coperchio: io ho riciclato il barattolone della mostarda cremonese del pranzo di Natale. In realtà si potrebbe usare anche un vaso di plastica, ceramica o metallo, ma le pareti trasparenti vi consentiranno di apprezzare giorno per giorno lo sviluppo della patina. Il coperchio (facoltativo) serve invece a non impestare tutto con l’odore dell’aceto e ad accelerare la reazione.
– dei ritagli di rame: io ho comprato in mesticheria un foglio per lo sbalzo al costo di 2 euro circa, ma vanno benissimo anche dei pezzi di tubo tagliati e “aperti” o dei fili elettrici privati del rivestimento
– una cordicella o un filo di lana
– aceto q.b.
– un paio di forbici robuste.
Tutti i materiali necessari nella prima fase sono raffigurati nella Foto 1.
Fase 2 (raschiatura e trattamento del verderame)
– un coltello, ad esempio la lama piccola del coltellino svizzero
– un contenitore ermetico in cui riporre il pigmento: io ho riciclato la scatolina di plastica trasparente di un campione di perline, ma vanno benissimo anche i tubetti dei medicinali, i contenitori dei rullini fotografici o semplici vasetti di vetro col coperchio
– giornali vecchi o un telo di plastica per proteggere il piano di lavoro
– alcuni fogli di carta da cucina tipo “Scottex” completamente bianchi
– guanti di gomma preferibilmente usa e getta
– mascherina Ffp3 con valvola.
PROCEDIMENTO
Versate due dita di aceto sul fondo del barattolo. Prendete il vostro foglio di rame e tagliate una o due lastrine con dimensioni tali da entrare comodamente nel barattolo, senza toccarne le pareti o lo strato di aceto sul fondo. Forate le lastrine di rame con la punta delle forbici e passetevi lo spago (Foto 2). Legate o fissate lo spago alle pareti o al coperchio del barattolo in modo da sospendere la lastrina al centro dello stesso, stando bene attenti a non toccare lo strato di aceto sul fondo (Foto 3). Chiudete il barattolo (Foto 4) e riponetelo in un luogo tranquillo, dove bambini e gatti non possano raggiungerlo, pena il fallimento immediato dell’esperimento, numerose bestemmie piissime invocazioni a tutti i santi del martirologio cristiano e una puzza insopportabile di aceto :-).
La patina comincerà a formarsi immediatamente, e già dopo 24 ore si possono apprezzare i primi aloni verdi: dopo sole 48 ore dall’inizio dell’esperimento, il mio barattolo aveva assunto l’aspetto della Foto 5.
Tuttavia, per massimizzare la produzione di verderame occorre lasciar agire l’aceto per almeno un mese, meglio ancora due, controllando di tanto intanto lo sviluppo della patina: se la reazione dovesse “fermarsi”, occorre infatti rinnovare lo strato di aceto. Bisogna però evitare di lasciar agire l’aceto per troppo tempo, perché dopo circa due mesi e mezzo cominceranno a formarsi delle macchie biancastre che potrebbero compromettere la qualità del pigmento ottenuto.
Io ho lasciato agire l’aceto per circa due mesi e mezzo, ottenendo il risultato della Foto 6. Nella Foto 7 vediamo invece due errori che ho commesso, dovuti alla mia inesperienza:
– non distanziare correttamente le due lastrine di rame (che avevo piegato per farle entrare meglio nel barattolo), lasciando quindi una zona priva di patina verde (quadrato giallo);
– lasciare le lastrine esposte per troppo tempo ai vapori dell’aceto, causando un inizio di formazione delle macchie bianche (cerchi rossi).
Quando la patina verde vi sembrerà aver raggiunto un buon grado di maturazione, mettetevi all’aperto (ovviamente evitando le giornate ventose) o in una stanza con le finestre aperte e proteggete il vostro piano di lavoro con uno strato di fogli di giornale o un telo di platica, su cui appoggerete i fogli di carta da cucina bianca. Indossate quindi i guanti usa e getta e la mascherina ffp3: questo aspetto è particolarmente importante, perché – se ingerito o inalato – il verderame può essere nocivo.
Aprite il barattolo e rimuovete delicatamente le lastrine o gli oggetti di rame, aprendo le lastrine eventualmente ripiegate. Poi prendete un raschietto o un coltello e cominciate a grattare delicatamente la superficie del rame, fino a riportarne in vista la superficie pulita (Foto 8): la polvere risultante è il pigmento verderame. A intervalli regolari, spostate la lastrina, piegate a U la carta da cucina e trasferite il pigmento nel vasetto o nella scatolina che avrete predisposto al vostro fianco. Continuate fino a raschiare completamente la patina verde dal vostro campione di rame, che – una volta ripulito – può essere riusato per produrre altro verderame. Un volta completata l’operazione, buttare il giornali con cui avrete protetto il piano di lavoro, toglietevi guanti e mascherina e lavatevi accuratamente le mani per eliminare ogni traccia di pigmento.
Il processo per produrre il verderame è abbastanza lento, ma per produrne una quantità maggiore si possono predisporre più barattoli contemporaneamente o usare lastre e contenitori più grandi (ad esempio un secchio con il coperchio) aumentando proporzionalmente la quantità di aceto.