Il castello di Nibbiano: una storia di famiglia
Molto spesso l’architettura tradizionale racconta una storia e il castello di Nibbiano, un piccolo borgo nei colli piacentini, mi racconta una storia di famiglia: quella della mia nonna partigiana – Francesca si chiamava – originaria proprio di Piacenza. Mia nonna durante la guerra era sfollata qui con la madre e le sorelle. Nel ’44 aveva vent’anni e batteva le colline in bicicletta, faceva la staffetta: un ruolo essenziale ma assai pericoloso.
Sono capitata a Nibbiano con il mio compagno in una bella giornata di agosto e ho riconosciuto subito il castello, perché ricordo bene i racconti della nonna e i nostri antichi dialoghi:
“Ero sfollata nel castello di Nibbiano”
“Davvero nonna, c’erano i merli?”
“Si Elena, c’erano i merli e una vecchia torre“.
La torre c’è ancora ma i merli no, sostituiti da alcune finestrine con infissi molto belli di aspetto decisamente arcaico. Una vecchia foto del 1950 documenta tuttavia la loro esistenza.
“Ci avevano assegnato la custodia di tre prigionieri sovietici, erano armeni credo. Gli avevamo dato il nome: Rosa Mistica era preciso e pulitino, tutte le mattine si lavava a torso nudo alla pompa della fontana nel cortile, a gennaio e colla neve per terra. Spüsü [puzzolente, in dialetto piacentino – ndr] perché non sai quanto puzzava e non si lavava mai. Taccòn [in dialetto piacentino “brutto” o “venuto male” – ndr] perché aveva i vestiti tutti a padelle, unti e bisunti“.
Il portone è chiuso, ora ci abita qualcuno. Ho cercato di sbirciare dai pertugi del legno ormai consunto ma non ho visto la fontana. Chissà se esiste ancora: spero proprio di sì.
“Un giorno i Tedeschi puntarono i cannoni di un carro armato contro la nostra finestra, e davanti c’era una piazzetta“.
Abbiamo ritrovato la possibile strada da cui giunse il panzer ma non quella piazzetta, forse ormai cancellata dalla costruzione di alcune case.
Ma Nibbiano mi riserva un’altra storia: la parte posteriore del castello ostenta infatti i resti di un intonaco decorato. Una decorazione semplice e povera, con le cornici delle finestre costituite da semplici fasce lisce e forse scarse tracce ormai slavate di finte finestre. Ma in alto, incisi nell’intonaco ancora fresco, ci sono due date (8 e 9 aprile 1895), un piccolo asterisco a sei punte e le iniziali M B: chissà come si chiamava l’operaio. Questa è la seconda parete firmata che vedo: la prima stava a Siena e l’hanno scalcinata.
La mia nonna stava qui, sicuramente ha visto questo intonaco e io sento le mie radici che si fanno pietra e calce. Ecco perché dobbiamo salvare e tramandare l’architettura tradizionale: perché è la nostra storia, essenza e memoria. Il castello di Nibbiano ha bisogno urgente di restauri, spero che si possa provvedere. Se potessi pensarci io sarebbe come parlare ancora con mia nonna: io bambina e lei dolce e senza tempo.