CHIAVARDE o CAPICHIAVE IN LEGNO nell’edilizia rurale modenese

Edificio con chiavarde o capichiave in legno.

Abbiamo visto che negli edifici storici tiranti e catene – e di conseguenza i capichiave a paletto – sono molto diffusi come presidio antisismico per impedire il ribaltamento delle pareti (meccanismi di danno di I modo), per contenere il fuori piombo delle facciate o per ancorare saldamente alla muratura le catene delle capriate o le travi maestre dei solai, trasformandole in efficacissimi tiranti/puntoni.

Generalmente questi dispositivi erano costruiti in acciaio; ma nelle zone montane più marginali il ferro era molto raro e perciò veniva riservato quasi esclusivamente alla fabbricazione degli strumenti agricoli. L’ingegno dei costruttori ha quindi ideato una soluzione  molto povera ma assolutamente geniale: le chiavarde o capichiave in legno, di cui restano pochi esemplari purtroppo ormai degradati.

Rita Lotti di Formigine, appassionata studiosa dell’architettura rurale dell’Appennino emiliano, me ne ha segnalati alcuni: a lei si devono anche tutte le fotografie di questo post.

Le fotografie riguardano tre edifici siti in altrettanti borghi dell’Appennino modenese: Villa Bibone in comune di Pavullo nel Frignano; Casa Varrobbie a Samone vicino a Guiglia e Monteacuto di Vezzano a Montebaranzone. L’epoca di costruzione è compresa tra il XV e il XVII secolo.

Foto 1 – Le chiavarde in legno venivano generalmente utilizzate per ancorare alla muratura le teste delle catene delle capriate, trasformandole in tiranti/puntoni molto efficaci e contrastandone la rotazione rispetto alla verticale con conseguente accatastamento. Sono quindi visibili quasi sempre poco sotto allo sporto di gronda dell’edificio.

Foto 2 – La costruzione era molto semplice: la catena (o più raramente la trave maestra di un solaio) veniva prolungata esternamente alla muratura e vi era praticato un foro abbastanza ampio da contenere il dispositivo di bloccaggio, formato da un paletto cilindrico o troncoconico più eventuali cunei o zeppe di serraggio. Nei esemplari più raffinati la catena e il paletto erano costituiti da tronchi e rami ben squadrati e rifiniti.

Foto 3 – Negli edifici più modesti si usavano invece semplici tronchi e rami d’albero scortecciati e sbozzati grossolanamente con l’ascia.

Foto 4 – Il paletto di serraggio poteva essere posto in verticale o più raramente in orizzontale (cerchio rosso). Se il foro era troppo ampio il paletto veniva serrato con ulteriori cunei o zeppe di legno (cerchio giallo).

Foto 5 – I capichiave in legno sono però meno efficaci di quelli di ferro o acciaio, perché il legno ha una resistenza inferiore a flessione ed è meno rigido: in caso di fuori piombo anche modesti il paletto può quindi flettersi o addirittura spezzarsi.

Foto 6 – Il legno è inoltre più vulnerabile agli agenti atmosferici, e perciò nel lungo periodo il paletto del capochiave può marcire o degradarsi ad opera di muffe, funghi (carie rossa o carie bianca) o insetti xilofagi.

Foto 7 – La catena della capriata può invece marcire o degradarsi ad opera di muffe, funghi (carie rossa o carie bianca) o insetti xilofagi, oppure rompersi in corrispondenza del foro per l’inserimento del paletto a causa dell’eccessiva trazione.


Grazie Rita grazie per la segnalazione di questa autentica perla! Vi prego di condividerla, perché la conoscenza di questo patrimonio edilizio minore ma di straordinario interesse documentale non vada perduta, e le chiavarde di legno ancora esistenti possano essere tutelate e salvate.

Leave a Reply to Anonymous Cancel reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *