I colori della città, ovvero TERRE e PIGMENTI

Studiando gli intonaci decorati ho capito ben presto che anticamente il panorama cromatico delle nostre città era assai variegato.

I COLORI DELLE FACCIATE
Pannello didattico con alcuni dei colori di facciata più ricorrenti nel centro storico di Siena

Nel centro storico di Siena troviamo ad esempio:

Numerose sfumature di GIALLO e ARANCIONE, i colori più diffusi nella seconda metà dell’Ottocento, usati per gli sfondi in tinta unita o per suggerire (in modo molto convenzionale) l’arenaria.
– Il colore dell’INTONACO GREZZO, a Siena marcatamente nocciola-giallastro, riservato generalmente alla simulazione dell’arenaria negli intonaci a finta pietra più pregiati o a decorazioni particolari come il disegno a diamante.
– Il BIANCO e il COLOR CALCINA (beige chiaro), i colori più economici visibili soprattutto nelle case dei quartieri più modesti o per imitare rozzamente un muro di marmo o di travertino.
– Il ROSSO degli intonaci a finto mattone o, assai più raramente, come sfondo in tinta unita.
– Il GRIGIO per simulare un rivestimento di pietra serena e negli intonaci con disegno a diamante.
– Un ROSA MOLTO VIVACE, poco comune e quasi sempre attestato come stratificazione più antica nel caso di più intonaci sovrapposti.
– Diverse sfumature di VERDE e di AZZURRO: azzurro cielo, indaco, verde prato, verde scuro e color verderame (verde acqua). Sono tipiche del Settecento (e più precisamente dello stile rococò) ed erano note come verdino, turchino, celeste e color aria; sono visibili come decorazione di un’intera facciata o sotto intonaci più recenti.
– Non mancano infine alcuni INTONACI BICOLORI (generalmente bianchi e neri, bianchi e rossi, bianchi e grigi o beige e marroni): si tratta quasi sempre di decorazioni a sgraffito, a finto sgraffito o di facciate con il disegno a diamante.

TERRE E PIGMENTI

Tutti questi colori si ottenevano da pigmenti di origine minerale, normalmente terre argillose con impurità minerali, quasi sempre ossidi.

– Il BIANCO era il colore più economico e facilmente reperibile, perché costituito da semplice latte di calce (un grassello molto diluito) con cui si scialbava l’intonaco grezzo. Veniva impiegato come tinteggiatura nelle decorazioni più povere riservate alle case dei ceti più modesti, come strato preparatorio nella tecnica della velatura o come sfondo negli intonaci a finto sgraffito (imitazione pittorica dello sgraffito) o con il disegno a diamante.

Pannello didattico con la ricostruzione di alcuni pigmenti e i corrispondenti campioni di intonaci prelevati da alcune facciate del centro storico di Siena.

– Per il NERO, anch’esso poco costoso, si usava il nerofumo o la polvere di carbone di legna. Il nero di vite era ad esempio polvere di carbone prodotto dalla combustione del legno di questa pianta. In alternativa si usavano pigmenti di origine minerale come il Nero di Roma ottenuto dalla macinazione della lignite terrosa, conosciuto fin dall’antichità e diffuso soprattutto a partire dal XV secolo.

– Anche il ROSA e il GRIGIO si ricavano con facilità, perché basta schiarire la tinteggiatura rossa o nera con latte di calce fino alla sfumatura desiderata.

– Il ROSSO, il GIALLO e l’ARANCIONE venivano preparati a partire dall’ocra, una terra colorata con impurità di minerali ferrosi: ematite per il rosso e limonite per il giallo. In base alla sua qualità si ottiene una vasta gamma di sfumature gialle, rosse, arancioni e marroni. I dintorni di Siena sono particolarmente ricchi di giacimenti, situati soprattutto nelle zone di Abbadia San Salvadore, Piancastagnaio, Arcidosso e Casteldelpiano. Particolarmente rinomati sono ad esempio il cosiddetto bolo, un rosso naturale; il rosso vermiglione di Abbadia San Salvadore (estratto in tre sfumature diverse) e la terra gialla del Monte Amiata.

– Le origini del VERDE e dell’AZZURRO sono invece assai più complesse e variegate. Gli ossidi di rame delle terre verdi producono infatti una vasta gamma di sfumature a bassa tonalità come l’azzurro cielo o il verde acqua: questi sono alcuni tra i colori più apprezzati e diffusi nel Settecento. Una ricetta molto comune, attestata fin dal XIX secolo come trattamento fitosanitario nella coltivazione della vite è la cosiddetta calce blu o poltiglia bordolese, una miscela di grassello di calce e solfato di rame. Una valida (ed economica) alternativa era costituita anche dal cosiddetto falso blu, un miscuglio di bianco, nero e pochissimo rosso che fornisce una gradevole sfumatura grigio bluastra, utile ad esempio per suggerire il marmo o la pietra serena negli intonaci a finta pietra.
Facciata affrescata rinascimentale in piazza Duomo a Trento, assolutamente eccezionale per l’uso di uno sfondo probabilmente in blu di lapislazzuli.

Ma per le sfumature molto intense e brillanti si doveva ricorrere rispettivamente alla polvere di malachite e di lapislazzuli, importati dall’Afghanistan, dal Congo o dall’Egitto e perciò costosissimi. Questi pigmenti erano dunque riservati quasi esclusivamente alle decorazioni interne degli edifici di pregio come chiese, conventi e palazzi gentilizi: nelle facciate il loro uso è rarissimo e riservato ad alcuni particolari come il manto della Madonna, le vesti dei personaggi principali o lo sfondo di alcuni piccoli fregi. La facciata di un palazzo rinascimentale in piazza Duomo a Trento, con motivi figurativi e vistose tracce di uno sfondo probabilmente in blu di lapislazzuli è quindi assolutamente eccezionale e testimonia la grande ricchezza dei proprietari.

A partire dal Rinascimento si utilizzò tuttavia un surrogato più economico di questo minerale, il cosiddetto smaltino o blu di smalto, estratto in alcune miniere in Boemia e Sassonia. I minerali grezzi, cobaltite e smaltite, venivano riscaldati per ottenere un ossido, quindi fusi con la potassa e infine macinati. Il pigmento ottenuto aveva tuttavia un basso potere coprente.


Un sentito ringraziamento ai signori Antonio Martorelli dell’Associazione Terre Coloranti e Vincenzo Angelica dell’azienda 2A Eco per avermi fornito le fotografie dei pigmenti grezzi.

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