Da Castel Beseno una SCACCHIERA incisa su pietra

Castel Beseno, la Porta Scura

Spesso – come è successo per il Castello di Nibbiano nel Piacentino – l’architettura racconta una storia: a volte grandiose vicende di re, generali e cavalieri,  più spesso piccoli aneddoti di vita quotidiana.

Quello che vorrei illustrare oggi è proprio uno di questi.

Il Castel Beseno nella Vallagarina è la struttura fortificata più grande dell’intero Trentino Alto-Adige; il suo aspetto attuale risale al XVI secolo, quando il complesso venne pesantemente rimaneggiato dai signori del luogo, i conti Trapp, in previsione di un possibile assedio con le armi da fuoco.

Al cortile più interno si accede attraverso la cosiddetta Porta Scura, così chiamata perché costituita da un passaggio voltato stretto e ripido, originariamente dotato di due saracinesche alle estremità. Si trattava ovviamente di un effetto accuratamente studiato, perché il passaggio obbligato, il percorso curvilineo e il buio improvviso erano destinati a confondere e intrappolare i soldati nemici.

Lo schema della tria sulla panca della Porta Scura
Ma – come in tutti i castelli – la porta era costantemente sorvegliata anche in tempo di pace: proprio a metà del passaggio voltato è sistemata una panca di pietra ricavata in una nicchia nello spessore del muro, mentre poco lontano si apre una piccola stanza destinata a guardiola

Il compito fondamentale dei soldati di guardia – sicuramente almeno due – era infatti accertare l’identità dei visitatori in entrata e in uscita (che tra contadini incaricati di consegnare le provviste, mercanti, servitori di ritorno da qualche commissione e viandanti in cerca di ospitalità dovevano essere parecchi), trattenere gli eventuali sospetti e forse riscuotere dazi e gabelle.
Era un lavoro tedioso e disagevole, perché in inverno il freddo era pungente e i turni probabilmente molto pesanti.

Così per passare il tempo qualcuno incise uno schema di tria sul sedile della panca: un’incisione molto rozza dalle linee storte e incerte, gli angoli non retti e le distanze disuguali. Ma tanto bastava: l’importante non era l’estetica, ma poter giocare con l’aiuto di semplici pedine o addirittura sassolini colorati.

Alcuni soldati e prostitute si dedicano a vari passatempi compresa la tria. Castello di Issogne, affresco del XV secolo

Sembra quasi di vederli quei rudi soldati, ingannare la noia delle lunghe ore di attesa scommettendo la paga alla luce delle fiaccole su chi avrebbe vinto l’ennesima partita, tra boccali di vino o birra, urla di incoraggiamento dei commilitoni e forse qualche rissa in caso di una controversia.

Tria (attualmente meglio noto come filetto, mulino o schiera) è un gioco antichissimo, già perfettamente noto e praticato dagli antichi Greci e Romani, come provano le numerose scacchiere incise o graffite sui gradini, le soglie o i sedili di molti edifici monumentali. Il suo uso è attestato anche nelle guarnigioni dei castelli rinascimentali da una straordinaria testimonianza iconografica: un affresco del XV secolo nel porticato cortile del Castello di Issogne in Valle d’Aosta. Vi si vedono alcuni soldati nell’armeria che, sotto le loro armi (corazze, balestre e alabarde) ordinatamente appese a una rastrelliera, si intrattengono con alcune prostitute bevendo vino e giocando a carte, a backgammon o appunto… tria! E non manca una rissa con tanto di accoltellamento.

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