La CALCE BLU nell’edilizia tradizionale urbana e rurale
La calce blu, o poltiglia bordolese, è un composto di grassello di calce aerea o latte di calce (un grassello molto diluito fino a una consistenza liquida) e solfato di rame, utilizzato fin dall’Ottocento come trattamento fitosanitario per la vite e gli alberi da frutto: è insomma il classico rame o verderame che gli anziani contadini fino a non molto tempo fa spruzzavano sulle proprie coltivazioni mediante piccole pompe a spalla o con apparati più complessi montati su carri trainati da buoi, mucche o cavalli.
Tuttavia la calce blu era molto apprezzata da vari secoli anche come tinteggiatura per interni e facciate in quanto:
– Era un’alternativa molto più economica e facilmente reperibile del costosissimo blu di lapislazzuli;
– Le tinte ottenibili (Foto 1), che coprono una vasta gamma di sfumature di azzurro e verde acqua, sebbene meno vivaci erano comunque decisamente gradevoli: nella seconda metà del ‘700, con la diffusione dello stile Rococò divennero anzi molto comuni le facciate turchine, verdine e color aria.
In molti centri storici divennero quindi comuni le facciate con sfondo azzurro e membrature architettoniche (cornici delle finestre, cornicioni, marcapiani o marcadavanzali e bugnati angolari) dipinte a trompe l’oeil, spesso di giallo, beige, bianco o grigio a imitazione rispettivamente dell’arenaria, del marmo e della pietra serena (Foto 2, 3 e 4).
Le case più modeste ostentavano invece una semplice decorazione a fasce, in cui le modanature architettoniche erano sostituite da semplici fasce bianche (Foto 5 e 6) o gialle (Foto 7) bordate di nero.
Si riteneva inoltre che l’azzurro, e in particolare una tinta a calce con questo colore, potesse allontanare le mosche e debellare le malattie. Questa credenza in realtà non era completamente infondata, perché la calce viva veniva effettivamente utilizzata per disinfettare i cadaveri e per igienizzare le case imbiancandole circa una volta l’anno con semplice latte di calce, ma questo effetto è dovuto soprattutto alle proprietà antisettiche della calce.
Negli edifici rurali tradizionali tuttavia la calce blu veniva usata soprattutto per tinteggiare gli ambienti di servizio come cantine, dispense o granai (Foto 8 e 9). Le case con le facciate completamente azzurre nel nord e centro Italia sono invece decisamente più rare: ne ho recentemente documentate due nelle campagne di Medicina in provincia di Bologna (Foto 10 e 11).
Tuttavia un anziano residente ha specificato che si tratta di due poderi un tempo facenti parte del medesimo latifondo: la tinteggiatura azzurra potrebbe essere quindi un segno di riconoscimento voluto dal proprietario.
Una delle due case conserva inoltre alcuni resti di uno splendido marciapiede in mattoni o mezzane di cotto, già documentato in un post precedente.
La calce blu si preparava in modo del tutto analogo alle altre tinteggiature tradizionali a base di calce: il pigmento finemente macinato veniva aggiunto al latte di calce secondo proporzioni ben precise, variabili in base all’intensità del colore voluto, e successivamente mescolato accuratamente per evitare la presenza di grumi che avrebbero comportato la formazione di antiestetiche macchie durante la tinteggiatura.
La tinteggiatura vera e propria era eseguita generalmente dall’alto verso il basso per almeno tre mani: uno strato preparatorio costituito da semplice latte di calce e almeno due mani di pittura nel colore voluto (Foto 12); le pennellate erano date normalmente in orizzontale (Foto 13 e 14).