Intonaci toscani rinascimentali a SGRAFFITO

Nella Toscana tardomedievale, rinascimentale e manierista furono molto diffusi gli intonaci a sgraffito, una tecnica che prevede l’uso di due strati di colore contrastante. Giorgio Vasari la descrive molto bene nel capitolo XXVI delle sue Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri:

CAPITOLO XXVI
De gli sgraffiti delle case, che reggono a l’acqua; quello che si adoperi a fargli e come si lavorino le grottesche nelle mura

La facciata a sgraffito del Palazzo di Bianca Cappello a Firenze (1580 circa), ottimamente conservata

Hanno i pittori un’altra specie di pittura, ch’è disegno e pittura insieme, e questo si domanda sgraffito e non serve ad altro che per ornamenti di facciate di case e palazzi, che più brevemente si conducono con questa spezie e reggono alle acque sicuramente. Perché tutti i lineamenti, invece di essere disegnati con carbone o con altra materia simile, sono tratteggiati con un ferro dalla mano del pittore. Il che si fa in questa maniera: pigliano la calcina mescolata con la rena ordinariamente [cioè come per fare un intonaco comune], e con la paglia abbruciata la tingono d’uno scuro che venga in un mezzo colore che trae in argentino, e verso lo scuro un poco più che tinta di mezzo [cioè il colore dell’intonaco di fondo era probabilmente simile al grigio antracite], e con questa intonicano la facciata. E fatto ciò e pulita col bianco della calce di trevertino [travertino], la imbiancano tutta, et imbiancata ci spolverono su i cartoni, o vero disegnano quel che ci vogliono fare. E di poi agravando [graffiandocol ferro, vanno dintornando e tratteggiando la calce, la quale essendo sotto di corpo nero, mostra tutti i graffi del ferro come segni di disegno. E si suole ne’ campi di quegli radere il bianco e poi avere una tinta d’acquerello scuretto molto acquidoso, e di quello dare per gli scuri, come si desse a una carta; il che di lontano fa un bellissimo vedere; ma il campo, se ci è grottesche o fogliami, si sbattimenta, cioè ombreggia con quello acquerello. E questo è il lavoro, che per essere dal ferro graffiato, l’hanno chiamato i pittori sgraffito…

Il PALAZZO DI BIANCA CAPPELLO a Firenze

Possiamo osservare questa tecnica nella facciata di Palazzo di Bianca Cappello a Firenze, di epoca vasariana (seconda metà del XVI secolo) e splendidamente conservata. Il repertorio figurativo è quello tipico del manierismo (Foto 1 e 2): grottesche, candelabre, trofei di armi, putti ed esseri mostruosi campiscono uniformemente la superficie, divisa in vari pannelli da semplici fasce con greche e bordure di vario tipo (Foto 3).

La tecnica di esecuzione ha comportato le seguenti fasi di lavoro:

  1. Stesura di un arriccio pigmentato in pasta di un grigio molto scuro
  2. Dopo la completa essicazione dell’arriccio, stesura di un sottile intonachino bianco (spessore 2-3 mm)
  3. Esecuzione dei disegni preparatori, riportati dai cartoni in scala 1:1 con la tecnica dello spolvero; per stabilire i limiti orizzontali e verticali dei pannelli decorativi sono stati usati molto probabilmente fili a piombo, livelle e cordicelle intrise di pigmento o polvere di carbone. Dopo lo spolvero i disegni sono stati ulteriormente ripassati a pennello per esaltarne i contorni.
  4. Esecuzione della vera e propria decorazione asportando a secco alcune porzioni dello strato più superficiale, in modo da far emergere la bicromia bianconera ed esaltare i motivi decorativi (Foto 4).

L’esecuzione era molto faticosa perché occorreva incidere a secco l’intonachino più superficiale, che opponeva una discreta resistenza. Anche la precisione non è paragonabile a quella ottenibile con una decorazione incisa a fresco e la resa delle linee curve è sempre laboriosa e problematica (Foto 6; ma poiché una decorazione a sgraffito era generalmente vista a una grande distanza la qualità finale e l’effetto estetico complessivo non ne risentivano.

Un tipico intonaco a sgraffito si riconosce quindi molto facilmente per il suo stile inconfondibile che privilegia i tratteggi e le figure scontornate, la bicromia bianconera e soprattutto il lieve salto di quota tra i due strati, sempre chiaramente percepibile al tatto. Anche le forme di degrado sono molto caratteristiche, ma ce ne occuperemo esaustivamente nel prossimo post.

Un INTONACO QUATTROCENTESCO di San Giminiano

Il repertorio figurativo dello sgraffito è molto variegato e – oltre ai disegni tipici del manierismo – comprende anche un particolare tipo di finta pietra; elementi puramente architettonici come greche, trecce, dentelli o cancorrenti e infine motivi vegetali (i fogliami a cui accenna il Vasari).

Gli intonaci più antichi, generalmente databili al XV secolo presentano una decorazione molto semplice con influssi ancora tipicamente medievali: è il caso dei lacerti di un intonaco rinascimentale nel centro storico di San Giminiano, a mio parere databile alla prima metà del ‘400. Sono ancora riconoscibili:
– un tipico motivo a finta pietra (Foto 7);
– tracce di una semplicissima greca subito sotto a un marcadavanzale aggettante di pietra arenaria (Foto 8);
– tracce delle cornici delle originarie finestre del primo piano, monofore con arco a tutto sesto: il motivo decorativo, tipicamente tardomedievale, è formato da due registri paralleli ciascuno dei quali formato da due serie di piccoli parallelogrammi alternati divisi da sottili linee bianche (Foto 9 e 10);
– in corrispondenza del bancale delle finestre del secondo piano, prive di marcadavanzale, una sorta di finta mensola aggettante con due ghirigori (Foto 11). Le cornici delle finestre del secondo piano, di cui restano pochi lacerti assai degradati, erano invece costituite da semplici fasce scure non decorate delineate da sottili linee bianche (Foto 11).

Una FINTA PIETRA PISANA

Uno dei motivi più comuni negli intonaci a sgraffito è la finta pietra, utilizzata come sfondo negli intonaci più semplici, in cui le decorazioni architettoniche, i motivi fitomorfi e gli elementi figurativi sono limitati alle cornici delle finestre, ai marcapiani e alla fascia sottogronda. Qui ne presento uno visibile in una casa del centro storico di Pisa e probabilmente risalente al XV-XVI secolo.

Il motivo a finta pietra è quello tipico degli intonaci a sgraffito e si riconosce per le seguenti caratteristiche peculiari:
Tessitura regolare a conci sfalsati: tutti i conci hanno le stesse dimensioni, mentre tutti i corsi hanno la medesima altezza. Si tratta ovviamente dell’imitazione schematica dell’opus quadratum romano.
– Esistono due varianti della finta pietra dello sgraffito: con sfondo grigio scuro e un unico nastrino di bordo (Foto 12 e 13); oppure con fondo bianco e doppio nastrino di bordo (Foto 14)
– Tutti i conci hanno un nastrino di bordatura, semplice o doppio.

Questa facciata rimase in vista per almeno un secolo, come dimostra la presenza di un piccolo altarino dipinto in stile manierista, mentre la fitta picchiettatura dimostra che lo sgraffito – ancora in buono stato di conservazione ma evidentemente ormai passato di moda – venne semplicemente ricoperto da un nuovo intonaco, secondo una prassi comune finalizzata a risparmiare drasticamente sui tempi di esecuzione e i costi della manodopera.

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