Calci, una CERTOSA BAROCCA

Le certose sono i monasteri dei monaci certosini, un ordine contemplativo ed eremitico fondato nel 1084 da San Bruno.

Si tratta di vasti complessi spesso situati in zone impervie o comunque rurali, che comprendono le celle dei monaci, gli spazi per la vita comune (chiesa, refettorio, sala del capitolo), numerose officine e laboratori e infine vasti appezzamenti coltivati ad orti e frutteti. Una certosa doveva infatti essere praticamente autosufficiente e chiusa al mondo esterno.

La CERTOSA DI PISA: origini, storia e curiosità

Calci era la Certosa di Pisa, situata a circa 10 chilometri dal centro storico in una zona collinare ai piedi dei monti pisani nota come Val Graziosa.
Fu fondata il 30 maggio 1366 su decisione dell’arcivescovo di Pisa Francesco Moricotti. Nei secoli seguenti il complesso assunse sempre maggiore importanza, fino a diventare un vero e proprio buen retiro per la famiglia dei Granduchi di Toscana.

Il suo attuale  si deve a importanti lavori di ristrutturazione compiuti tra il XVII e il XVIII secolo: gli stili dominanti sono dunque il barocco e il rococò.

La certosa, abitata dai monaci fino alla metà del XX secolo, si trova in perfetto stato di conservazione ed è interamente visitabile: questo post costituisce dunque un vero e proprio reportage alla scoperta di tante piccole curiosità sulla vita quotidiana dei monaci.

L’esterno, l’ingresso e il vestibolo

Alla Certosa si accede da un viale monumentale che sfocia in una larga esedra (Foto 1), davanti alla quale si trova un imponente porticato con alcune epigrafi e scritte inneggianti alla regola certosina (Foto 2).

Nel timpano sommitale, sovrastato da una statua di San Bruno: O beata solitvdo, o sola beatvdo – O felice solitudine, o sola felicità
Subito sopra all’arco principale del porticato: Cartvsia Pisarvm fvndata an. rs. MCCLXVI – Certosa di Pisa fondata nell’anno della resurrezione 1366
Nei due oculi posti rispettivamente a destra e a sinistra dell’arco: Habitantibvs hic oppidvm carcer est et solitvdo paradisvs – Per gli abitanti [di questo edificio] la città è un carcere e la solitudine un paradiso – Solitaria vita coelestis doctrina schola est et divinarvm disciplina – Una vita solitaria è la scuola della dottrina celeste e della disciplina delle cose divine.

ll corpo principale della Certosa visto dal cortile esterno

Facciamo quindi subito la conoscenza con i due aspetti fondamentali della vita certosina: il silenzio e la solitudine.
I monaci da coro vivevano infatti per la maggior parte del tempo in stretta solitudine nella propria cella dedicandosi allo studio, alla meditazione e alla preghiera. Si recavano in chiesa tre volte al giorno per le preghiere comuni e la messa conventuale, ma avevano il divieto di parlarsi tra loro se non in caso di stretta necessità. Anche i pasti venivano consumati nella cella.
La domenica e nei giorni di festa potevano però consumare un pasto comunitario nel refettorio e incontrarsi tra loro in un’apposita sala per parlare liberamente durante una sorta di ricreazione. A intervalli regolari (circa una volta alla settimana) era inoltre il momento dello “spaziamento“, una passeggiata fuori dai confini della certosa in cui si poteva parlare liberamente.

A Calci, come in tutte le altre certose, i monaci erano rigorosamente divisi in due categorie: i monaci da coro, istruiti, sacerdoti o futuri sacerdoti, dediti alla vita contemplativa e provenienti da famiglie agiate della nobiltà o della ricca borghesia, e i conversi, spesso illetterati e appartenenti agli strati più bassi della popolazione: a loro erano riservati tutti gli aspetti materiali della vita conventuale come le pulizie, la cucina, il funzionamento delle officine, la coltivazione dell’orto e spesso anche l’amministrazione degli affari del monastero e la gestione dei rapporti con l’esterno.

Ritornando all’edificio, a destra del porticato si trovano una cappella e una foresteria, entrambe riservate alle donne. Dobbiamo infatti ricordare che, poiché nella certosa vigeva la più stretta clausura, le donne non potevano entrare nel recinto del monastero, mentre gli uomini vi erano ammessi – ovviamente solo in alcuni spazi – per tre motivi: come fornitori di beni e servizi, beneficiari della farmacia e ospiti di riguardo. A questi ultimi era dedicata un’apposita foresteria ubicata al primo piano.

Il vestibolo, seicentesco, è decorato da affreschi. In basso, quasi al livello del pavimento si nota una prima curiosità: l’immagine di un gatto grigio (che ora sembra nero a causa dell’umidità di risalita capillare – Foto 3). Si tratta di un gatto certosino, razza tuttora esistente e molto apprezzata dai catofili, così chiamata proprio perché selezionata dai monaci fin dal Medioevo per difendere le scorte alimentari dai topi.

Gli SPAZI PRODUTTIVI: orti, peschiere, officine e laboratori

Oltrepassando il vestibolo si entra nel cortile esterno, accessibile ai monaci ai laici di sesso maschile. Vi si affacciano sul lato lungo prospiciente l’ingresso le officine produttive, sull’altro lato lungo il corpo principale della certosa con il chiostro grande e sui due lati corti rispettivamente un piccolo loggiato porticato ornato da belle finte finestre (a sinistra – Foto 4) e il giardino in stile barocco (Foto 5).

Il cortile esterno, con la chiesa e le officine produttive

Le officine tuttora esistenti sono la spezieria, cioè la farmacia del monastero e il frantoio dell’olio. Ciascun ingresso è caratterizzato da una scritta in latino, rispettivamente Officina Pharmacevtica (Foto 6) e Officina Olearia (Foto 8), e una decorazione a tema: vasi e strumenti da farmacista oppure un serto di foglie di olivo.

La spezieria era divisa in tre stanze: un vestibolo-sala di attesa, la “bottega” e il laboratorio. Tutti i locali sono riccamente decorati da pitture murali (probabilmente a tempera – Foto 7). La bottega, con grandi armadi di legno per la conservazione dei medicamenti in appositi vasi di maiolica detti albarelli, comunica con il vestibolo attraverso un passavivande: qui gli abitanti dei dintorni potevano parlare con il monaco speziale (quasi certamente un converso) e ritirare i medicamenti.

L’officina olearia, attualmente inglobata nel Museo di Storia Naturale che occupa alcune ali della certosa, era invece più articolata: l’ingresso avveniva dal cortile mediante una piccola rampa in pietra serena (Foto 9) percorribile anche dagli animali da soma. All’interno si trovavano il torchio per la spremitura delle olive (Foto 10) e diverse vasche per la stagionatura e conservazione dell’olio (Foto 11 e 12).
È significativo notare che anche questi spazi puramente di servizio ostentavano una decorazione con finte specchiature modanate, di cui si notano ancora alcune tracce sotto un intonaco più recente (Foto 13).

Facevano parte degli spazi produttivi anche alcuni appezzamenti (Foto 14) – ora purtroppo incolti – originariamente coltivati a orti e frutteti, indispensabili per il fabbisogno quotidiano di cereali e verdure: la regola dei monaci certosini non ammetteva infatti la carne ma consentiva il consumo di pesce e formaggio. La vasca era dunque una peschiera per l’allevamento di pesci d’acqua dolce come trote o anguille, mentre il canale centrale – in origine ombreggiato da una lunga pergola – serviva forse per l’irrigazione (Foto 15).
A queste mansioni provvedevano ancora una volta i monaci conversi, che a Calci erano 65 (a fronte di soli 15 monaci da coro).

Gli spazi per la preghiera: CHIESA e ORATORI

Sempre dal cortile esterno si accede anche alla chiesa conventuale, di struttura trecentesca ma completamente in stile barocco: fu infatti pesantemente rimaneggiata nel XVII secolo.

Volta di uno degli oratori del primo piano, con stucchi e pitture policrome

La facciata (Foto 16), attribuita all’architetto Nicola Stassi, è soprelevata su un alto podio, rivestita in pietra bianca e dominata da un severo timpano triangolare sormontato dalla statua della Vergine in gloria. Si accede attraverso uno scalone monumentale a doppia rampa e un ampio portale con lunetta ornata da uno stemma. Esiste inoltre un accesso secondario, comunemente utilizzato dai monaci, da un piccolo chiostro secondario direttamente comunicante con il corpo principale della certosa.

L’interno è ad aula unica e completamente affrescato con storie del Vecchio Testamento e altre scene a soggetto religioso (Foto 17); le volte, a crociera con massicci costoloni, denotano tuttavia la propria origine trecentesca (Foto 18).

Lo spazio è diviso in due parti da una parete traforata e intarsiata con marmi preziosi (Foto 19): la porzione più ampia, con l’altare maggiore e gli stalli lignei del coro (databile al XV secolo) era riservata ai monaci da coro, mentre quella minore era destinata ai conversi.
La ragione di questa sproporzione è molto semplice: i monaci da coro avevano bisogno di molto più spazio perché erano obbligati ad assistere a tutte le preghiere comuni e alla messa conventuale e inoltre accompagnavano ciascuna funzione con i canti e i movimenti del corpo prescritti dall’elaborato rito certosino. I conversi ne erano invece esentati perché dediti alle varie attività necessarie alla vita comunitaria: era perciò raro che tutti i conversi partecipassero contemporaneamente a una funzione.

Particolare della decorazione in stucchi bianchi figurati di uno degli oratori del primo piano

Al centro della chiesa si trova infine la statua di una fanciulla (Foto 20) donata da un benefattore e trasformata dai monaci in angelo mediante l’aggiunta di ali per renderla confacente alla clausura monastica.

Erano inoltre previsti alcuni oratori ubicati al primo piano accessibili da uno scalone interno monumentale a doppia rampa (Foto 21). La loro decorazione interna, pur essendo diversa in ciascun caso seguiva il medesimo filo conduttore: splendidi pavimenti di pietra bianca, grigia e nera con decorazioni geometriche a effetto tridimensionale (Foto 22 e 23), pareti e volte nei colori pastello tipici del rococò e decorate da stucchi bianchi o pitture variopinte.

Questi ambienti erano usati dai monaci sacerdoti per le messe private, normalmente recitate a titolo personale per adempiere a un voto o intercedere a favore dei benefattori della certosa o dei defunti della propria famiglia di origine. Uno di essi era invece la sala capitolare per i conversi, che vi si riunivano per ascoltare gli insegnamenti morali del priore e ricevere gli incarichi per la giornata: la sua funzione è segnalata da una serie di panche addossate alle pareti e da un piccolo podio con lo scanno del priore.

Il CHIOSTRO GRANDE

Il cortile esterno comunica direttamente con il chiostro principale o chiostro grande (Foto 24), vero e proprio fulcro della vita monastica. Vi si accede da un portone che segna anche il confine della clausura, cioè la parte del monastero interdetta agli estranei. Lì vicino, un monaco affrescato su una parete intima il silenzio (Foto 25): si tratta sicuramente di un converso adibito a portinaio, come dimostrano la chiave appesa alla cintura e un cesto di verdure.

Una delle gallerie porticate del chiostro grande

Al centro del chiostro, molto ampio, si trovano un giardino diviso da vialetti geometrici destinati al passeggio, una fontana monumentale (Foto 26) e il cimitero dei monaci (Foto 27). Come in tutte le altre certose – ad esempio quella di Napoli – si tratta di un’area recintata da balaustre di pietra, con decorazioni di teschi ed ossa a mo’ di memento mori (Foto 28) e un certo numero di tombe con croci senza nome: i defunti venivano sepolti in una delle tombe e, dopo un certo numero di anni o in caso di bisogno, trasferiti in un ossario comune.

Lungo i quattro lati porticati si aprono invece le celle dei monaci, contrassegnate da una lettera dell’alfabeto. Poiché tuttavia i monaci da coro erano solo 15, alle lettere R, S, T, U, V  e Z corrispondono finte porte, del tutto identiche alle vere, per non turbare la simmetria compositiva del chiostro.

La CELLA di un monaco certosino

La vita del monaco da coro si svolgeva per la maggior parte del tempo nella cella; i conversi alloggiavano invece in dormitori comuni.

A differenza delle anguste stanzette tipiche dei benedettini o degli ordini mendicanti, era costituita da una vera e propria piccola casetta indipendente, in origine sicuramente molto confortevole.

La loggetta privata della cella

Ogni cella si affacciava sulle gallerie del chiostro attraverso due aperture (Foto 29): la porta e un piccolo passavivande. Ciascuna porta era riccamente decorata con membrature architettoniche dipinte a trompe l’oeil, l’immagine di un monaco certosino e un cartiglio con una frase biblica. Il passavivande era invece contrassegnato da una lettera dell’alfabeto, che designava ciascun monaco anche nelle incombenze della vita conventuale, e da una piccola scena religiosa come Gesù e la Samaritana al Pozzo (Foto 30) o la fuga della Sacra Famiglia verso l’Egitto (Foto 31). Queste scene erano utili ai conversi illetterati per riconoscere le celle.
La funzione principale del passavivande era la stessa della classica “ruota” dei conventi femminili: consentire lo scambio di oggetti senza alcun contatto diretto. A tale scopo il passavivande era dotato di due sportelli, uno interno e uno esterno, e costruito in diagonale (Foto 32): in questo modo il converso addetto alla consegna dei pasti non poteva interagire con l’occupante della cella. Nei giorni feriali i pasti erano dunque consumati nella solitudine della cella e il cibo veniva consegnato una sola volta al giorno, generalmente poco prima o poco dopo sesta (cioè mezzogiorno).

All’interno la cella era costituita da un piccolo locale di soggiorno con un inginocchiatoio e un tavolino a scomparsa con una nicchia per studiare e consumare i pasti (Foto 33): gli oggetti in dotazione a ciascun monaco erano costituiti da due piccole scodelle e un bicchiere di maiolica bianca con il monogramma della certosa (Foto 34).

C’erano poi una piccola camera da letto (Foto 35) e un disimpegno che dava accesso a una loggia coperta e a un minuscolo giardino (Foto 36) con ortaggi, fiori, alberi da frutto e un pozzo privato (Foto 37): qui il monaco poteva rilassarsi contemplando la natura, coltivare alcuni ortaggi per il proprio fabbisogno e attingere l’acqua senza uscire nel chiostro. Il disimpegno era anche dotato di un lavandino (Foto 38) e spesso allestito come un piccolo laboratorio (in questo caso di falegnameria, Foto 39) per l’esecuzione di piccoli lavori di artigianato, utili per evitare la tentazione dell’ozio e contribuire attivamente al fabbisogno e sostentamento del monastero.

Gli spazi della vita comune: REFETTORIO e SALA CAPITOLARE

Completavano il monastero due importantissimi spazi dedicati alla vita in comune: il refettorio e la sala capitolare dei monaci da coro.

Il refettorio era forse il locale più ampio del monastero: vi prendevano posto per il pranzo della domenica e dei giorni di festa tutti i membri della comunità, conversi e monaci da coro. Vi si accedeva da un piccolo chiostro secondario nel quale era sistemato un lavabo con una sbarra per l’asciugamano: ciascun monaco prima di entrare doveva quindi lavarsi le mani. La sua funzione era chiarita da un cartiglio con scritto Lavabo inter manvs meas, cioè “laverò tra le mie mani“: si tratta di un preciso rimando a un verso del salmo 25. Il rimando è ulteriormente chiarito dall’immagine di cinque putti con una croce (Foto 40). Accanto al lavabo si trovava una campanella che scandiva i ritmi della vita monastica.

Il piccolo chiostro secondario per l’accesso al refettorio e alla sala capitolare dei monaci da coro

Come in tutti i refettori conventuali le tavole erano disposte a ferro di cavallo; il tavolo centrale era riservato al priore e agli eventuali ospiti di riguardo. Per un migliore isolamento dal freddo, molto pungente nei mesi invernali a causa del riscaldamento insufficiente, i tavoli si trovano su una piccola pedana in legno e la parte bassa delle pareti è rivestita da boiserie (Foto 41). In uno dei lati corti è affrescata un’immagine dell’ultima cena, mentre in uno dei lati lunghi si trovano due curiose scene realmente avvenute: in una di esse la Granduchessa di Toscana serve i monaci a tavoli insieme alle proprie dame di compagnia, nell’altra il Granduca siede a fianco del priore (Foto 42).

Questa scena è particolarmente interessante perché ci mostra come avveniva il pranzo dei certosini: i monaci mangiavano in silenzio, seduti a un solo lato del tavolo dando le spalle alla parete, i posti erano assegnati in ordine di anzianità a partire dal priore; i conversi sedevano al lato opposto rispetto al tavolo del priore. Non era (ovviamente) aconsesso parlare, ma i monaci ascoltavano la lettura di un testo edificante o di un capitolo della regola, compiuta a turno da ciascun monaco da un piccolo pulpito costruito a tale scopo.

La sala capitolare dei monaci da coro

Un altro spazio molto importate era la sala capitolare, in cui i monaci da coro si riunivano periodicamente (circa una volta alla settimana) per ascoltare gli insegnamenti morali del priore, trattare gli affari importanti del monastero (ammissione dei postulanti, accettazione di eventuali lasciti e donazioni, distribuzione degli incarichi, vendite o affitto di poderi, eccetera) e celebrare il capitolo delle colpe: questa è una tipica usanza conventuale che prevede l’auto-denuncia e/o la denuncia da parte dei fratelli dei monaci che hanno compiuto infrazioni più o meno gravi della regola. Il priore ascolta la giustificazione del colpevole e se necessario decide la punizione. I novizi e i conversi non avevano diritto di partecipazione e parola in capitolo.

La sala del capitolo, decorata da affreschi e da un pregevole pavimento di pietra con un motivo a cubi prospettici, era dotata di un altare e di banchi in legno per i monaci (Foto 43): ciascun posto è dotato di un piccolo cassettino la cui funzione non è ancora stata del tutto chiarita.

Un’ultima curiosità è infine costituita dalla bacheca delle obbedienze, cioè degli incarichi settimanali (Foto 44): posta in uno spazio di passaggio risale probabilmente alla seconda metà del XIX secolo. I monaci sono identificati dalle lettere delle rispettive celle e vi compaiono varie indicazioni: gli oratori assegnati ai sacerdoti per la celebrazione delle messe private, gli incarichi per la celebrazione della messa (lettura, concelebrazione, offertorio) e infine i giorni della rasatura (detta in latino rasvra), della passeggiata settimanale (spatiamentvm), del bucato (lixivia linteor) e del cambio degli abiti (mvnitio panno[rvm]).

3 thoughts on “Calci, una CERTOSA BAROCCA

  • December 18, 2018 at 1:21 pm
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    Belle foto! Chi è il fotografo? Si merita una menzione, ha classe e occhio!

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    • December 18, 2018 at 1:36 pm
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      Le foto sono del mio compagno ALESSANDRO TICCI, che è anche la persona che ha scritto il commento 😉

      Reply
  • May 20, 2019 at 10:53 pm
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    Complimenti! Non ho mai letto un post così interessante! Si vede prorpio subito che c’e tantissimo lavoro dietro e degli ottimi copywriter. Certo che a trovare di persone che scrivano in questo modo è proprio da innamorarsi e pagarli fior di soldi per avere articoli di una certa qualità.

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