Simbologie medievali e rinascimentali: il NODO DI SALOMONE
Terzo post della rubrica (a cadenza irregolare) sulle simbologie di Medioevo e Rinascimento, questa volta dedicato al sigillo di Salomone, un simbolo molto antico diffuso sia nella decorazione architettonica, sia come segno benaugurante.
Il NODO DI GORDIO, un simbolo molto antico
Il nodo di Salomone, detto anche nodo di Gordio o nodo gordiano, è un simbolo inconfondibile formato da un gomitolo di fili intrecciati con un numero variabile di nastri (generalmente compreso tra due e sette-otto) disposti in modo da formare una sorta di croce. Talvolta i nastri sono rappresentati anche a spigoli vivi (Foto 1) o – negli esempi più raffinati – come veri e propri intrecci complessi (Foto 2).
Si tratta dunque di un “nodo” che non si può sciogliere, perché non possiede né inizio né fine: ecco spiegato il motivo del nome, che allude alla leggenda di Gordio. Costui era un semplice contadino della Licia, che divenne re in seguito a una profezia dell’oracolo di Telmisso: sarebbe infatti diventato re il primo individuo a entrare in città su un carro trainato da buoi.
Il carro divenne quindi simbolo del potere e venne custodito all’interno del tempio della città di Gordio, dov’era legato a un palo con un intricatissimo nodo realizzato con una corda di corteccia di corniolo: un’altra profezia dell’oracolo affermava infatti che chi sarebbe riuscito a sciogliere il nodo sarebbe diventato imperatore dell’Asia. Nel 332 a.C. circa Alessandro Magno entrò in città con il suo esercito, vide il carro e – non riuscendo a sciogliere il nodo in maniera convenzionale – decise di tagliarlo a metà con la propria spada. La profezia si avverò e il condottiero macedone fondò effettivamente un grandissimo impero, che però ebbe vita assai breve.
L’allusione a Salomone deriva invece dalla grande saggezza attribuita a questo sovrano d’Israele, famoso per una delle sue sentenze: due donne che dormivano nella stessa casa avevano partorito un bambino a pochi giorni di distanza l’una dall’altra. Una notte uno dei due neonati purtroppo morì e nessuna delle due madri si dava pace: non riuscendo a mettersi d’accordo su chi potesse tenere il figlio sopravvissuto, decisero di chiedere il giudizio del re. Salomone ordinò quindi di portare una spada e tagliare il bambino a metà, in modo che ciascuna delle due donne potesse averne una parte: la vera madre, pur di salvare il figlio, lo cedette piangendo all’altra donna, smascherandola e ottenendo definitivamente il bambino.
I significati del nodo di Salomone sono cambiati nel corso del tempo: nell’arte paleocristiana e medievale, dove questo simbolo è diffusissimo, rappresenta l’unione profonda dell’uomo con la sfera del divino e di conseguenza la salvezza; mentre nel Rinascimento, con il recupero dei miti greci e latini, fu considerato la “chiave dell’Oriente” e simboleggiò il percorso, spesso lungo e tortuoso, per accedere a conoscenze – come ad esempio la Cabala o l’alchimia – riservate a pochi dotti.
Diffusione del nodo di Salomone dalla tarda antichità al Rinascimento
Le origini del nodo di Gordio non sono chiare, ma probabilmente vanno cercate nell’arte celtica, basata in larga parte sulle bordure ornamentali con motivi a nodi e intreccio.
Con la conquista romana della Gallia nel I secolo a.C. queste decorazioni si diffusero anche nell’arte romana e in particolare nei pavimenti a mosaico. La diffusione capillare del nodo di Gordio si verificò però soltanto nel IV secolo, quando il Cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero e – come in molti altri casi – si appropriò di simboli e miti più antichi. In molte domus e chiese paleocristiane troviamo perciò splendidi pavimenti a mosaico in cui il nodo di Gordio compare all’interno di campiture quadrate, rettangolari, esagonali, ottagonali oppure a losanga insieme ad altri altri simboli, intrecci e decorazioni geometriche: ne vediamo uno splendido esempio nei pavimenti della Domus del Chirurgo di Rimini (Foto 3), databili al III secolo dopo Cristo, o in un mosaico di Efeso probabilmente coevo (Foto 4).
Nell’Alto Medioevo il nodo di Gordio compare anche nella decorazione di chiese e sarcofagi: lo vediamo ad esempio su uno stipite del complesso delle Sette Chiese a Bologna (XI secolo – Foto 5), sebbene sia arduo verificare se si tratta di una decorazione originaria o di una semplice aggiunta posticcia in occasione del restauro stilistico del 1876; oppure in un sarcofago longobardo conservato all’interno del battistero di Albenga (Savona – Foto 6). In entrambi i casi il nodo è molto semplice, con solo uno oppure due nastri, e nel sarcofago longobardo presenta anche un vistoso errore di rappresentazione.
Il nodo di Gordio era però diffuso anche nella decorazione di interni: nella miniatura visibile a lato, databile probabilmente al XIV secolo, risulta visibile un tendaggio o finta tappezzeria con una fitta serie di nodi a due nastri di colore ocra e bianco-blu su uno sfondo rossiccio. Più spesso veniva invece semplicemente inciso o graffito come simbolo devozionale o di buon auspicio su elementi architettonici come colonne, pilastri, architravi, volte, capitelli e stipiti di porte e finestre.
Comunissimi anche i semplici graffiti nell’intonaco o le scritte a carboncino lasciate dagli abitanti o dai frequentatori abituali degli edifici medievali e rinascimentali. Ne vediamo alcuni esemplari nell’Abbazia di Valvisciolo a Sermoneta (Latina – Foto 7 e 8), nelle cucine del Palazzo Davanzati di Firenze e in una stanza di Castel Beseno in Trentino (Foto 10 e 11), rispettivamente con quattro, tre e sette-otto nastri.
Molto curiosa è infine la decorazione di facciata del Palazzo Ugurgieri di Siena, databile al XV secolo. Su uno sfondo con un motivo ondulato ispirato alle decorazioni delle stoffe e perciò definito da alcuni studiosi “a cortina” compare infatti un nodo di Gordio a tre nastri, posizionato in modo asimmetrico subito sopra al timpano di una bifora del secondo piano: data la posizione asimmetrica e defilata e inoltre lo stile della facciata che rispecchia pienamente i canoni dell’architettura rinascimentale fiorentina, è possibile che si volesse “evidenziare” proprio questa particolare finestra. Potrebbe dunque trattarsi di un’esempio del gusto tutto umanistico per le allusioni colte e simboliche, nella fattispecie agli interessi “esoterici” che il padrone di casa coltivava magari proprio dietro a quella finestra?