Le SCACCHIERE E I GRAFFITI nella loggia di Casa Romei a Ferrara
Negli edifici medievali e rinascimentali si trovano spessissimo numerosi graffiti incisi o scarabocchiati sulle superfici più diverse: intonaci decorati, stipiti di porte e finestre, soglie, bancali, colonne, panchine e ovviamente cimase di muretti e parapetti. Il contenuto è molto vario: date, stemmi e firme di visitatori illustri od occasionali, simboli magici o devozionali, quadrati magici, piccole caricature e persino scacchiere e tavole da gioco.
Anche Casa Romei, una splendida dimora quattrocentesca nel centro storico di Ferrara perfettamente conservate, non fa eccezione alla regola: una mia visita del 6 gennaio 2020 mi ha consentito di appurare, sulla cimasa di mattoni del parapetto in muratura del loggiato del primo piano, la presenza di numerosi graffiti purtroppo parzialmente cancellati:
– tre scacchiere per il gioco della tria;
– tre schemi per il gioco dell’alquerque;
– due simboli devozionali (una croce ed un calvario);
– un simbolo circolare diviso in otto spicchi, forse relativo ad una ruota;
– una piccola caricatura;
– una griglia o scacchiera;
– tre scritte o firme, una delle quali parzialmente cancellata.
Si tratta ovviamente di un “censimento” incompleto e del tutto estemporaneo, ma tuttavia molto interessante per appurare la vita quotidiana che si svolgeva nella casa di una famiglia ricca del Rinascimento.
Tuttavia occorre sottolineare che è molto difficile – se non addirittura impossibile – datare i singoli graffiti, perché l’edificio non fu mai abbandonato e venne quindi usato e frequentato ininterrottamente fin dall’epoca di costruzione.
Le scacchiere per il GIOCO DELLA TRIA
La massiccia presenza di scacchiere – ben sei o sette! – non deve stupire, perché i giochi da tavola erano passatempi molto economici in quanto per giocare bastavano una schema anche semplicemente tracciato nella sabbia e le pedine eventualmente sostituite da oggetti di fortuna come bottoni, monetine, legumi o sassolini colorati.
La tria, nota anche come mulino, schiera o filetto, è un gioco antichissimo, già noto agli antichi Romani: schemi per giocare o “tabulae lusoriae” sono state ad esempio scoperte nella Basilica Giulia a Roma o in numerosi edifici genovesi di epoca medievale, rinascimentale o barocca. Io stessa, un paio d’anni fa, dedicai un post de Il Capochiave a una scacchiera incisa probabilmente dai soldati su una panca della Porta Buia di Castel Beseno in Trentino. Il gioco della tria è documentato tra i soldati delle guarnigiorni dei castelli anche da una bellissima testimonianza iconografica: un affresco nel portico del cortile del Castello di Issogne che raffigura appunto alcuni soldati intenti a giocare a tria e backgammon (Foto 1).
Lo schema di gioco consiste di tre quadrati concentrici uniti al centro da segmenti verticali o, in alcune varianti, anche per le diagonali.
Nella loggia di Casa Romei ho riscontrato la presenza di ben tre di questi schemi, tutti di fattura alquanto rozza e difficilmente leggibili per via delle incisioni molto leggere eseguite con un chiodo o la punta di un coltello, del degrado della superficie di laterizio che costituisce la cimasa e/o perché lasciati incompleti dagli esecutori. Le incisioni sono molto grossolane e tutti gli schemi sono eseguiti senza minimamente badare alla correttezza delle proporzioni, al parallelismo delle linee o alla loro precisione geometrica: i segmenti appaiono infatti decisamente curvilinei, con angoli non retti, linee supplementari forse dovute a errori di tracciamento e tracce di segni doppi come a voler correggere alcuni di questi errori.
La Tria 1, di dimensioni ragguardevoli e di forma rettangolare, è di tipo con diagonali, risulta completa e abbastanza ben visibile (Foto 2 e 3, evidenziato con linee gialle): eseguita a mano libera, presenta al centro del quadrato più interno un probabile monogramma formato da una A entro una C di dimensioni maggiori. Questo secondo graffito (Foto 3, evidenziato con linee rosse) è inciso più in profondità nel laterizio. É inoltre impossibile determinare se sia contemporaneo, più antico o più recente dello schema della tria. Tuttavia le due incisioni sembrano attribuibili a mani differenti.
La Tria 2, più piccola e anch’essa ben visibile, è di tipo senza diagonali d’angolo (Foto 4 e 5, evidenziato con linee verdi). É stata sicuramente tracciata a mano libera in modo molto incerto, come se l’esecutore non fosse abituato a scrivere o tracciare disegni e figure, in quanto caratterizzata da segni molto ondulati, una forma generale marcatamente schiacciata, linee supplementari, due lati del quadrato esterno troppo lunghi e un vero e proprio errore di esecuzione che ne rendeva l’uso molto difficoltoso o addirittura impossibile. L’incisione sembra dunque attribuibile a un analfabeta, forse un servo di casa o un garzone.
La Tria 1 e 2 si trovano molto vicine tra loro (Foto 6 e 7), forse proprio a causa dell’errore di esecuzione nella Tria 2.
La Tria 3, più piccola, è l’esemplare meno visibile (Foto 2 e 3, evidenziato con linee viola): è anch’esso privo di diagonali e risulta purtroppo incompleto, sebbene ancora perfettamente comprensibile nella sua forma generale.
Oltre all’uso ludico, lo schema della tria ha però anche un profondo significato simbolico. Si tratta infatti del segno noto come Triplice Cinta Sacra che può avere vari significati: identificare l’onfalos (letteralmente “ombelico”), cioè il centro del mondo; simboleggiare l’orientamento dell’uomo all’interno del creato o infine richiamare la Trinità cristiana: in quest’ultimo caso sarebbe dunque un simbolo devozionale.
La valenza prettamente simbolica di questo segno è sottolineata anche dal rinvenimento di numerosi esemplari dipinti o tracciati in posizione verticale (tale quindi da renderne impossibile l’uso come scacchiera per giocare) su colonne in pietra, massi rocciosi o stipiti di portali.
Le scacchiere per il GIOCO DELL’ALQUERQUE
Un altro gioco molto popolare nel Medioevo e Rinascimento era l’alquerque, noto anche come Al-quirkat, Alquerc, Alquerques, El-quirkat e Quirkat: la sua più antica menzione si trova in un trattato del XIII secolo relativo a vari giochi e passatempi. Si tratta di un gioco di strategia di origine probabilmente araba simile alla dama e molto popolare ancora oggi in numerose varianti. Anche in questo caso gli strumenti per giocare erano molto semplici e di facile reperimento: due serie da dodici pedine in colori differenti e una scacchiera formata da quattro quadrati a loro volta suddivisi in settori triangolari dalle diagonali e le mediane di ciascun lato.
Sulla cimasa del parapetto della loggia di Casa Romei si conservano ben tre scacchiere per il gioco dell’alquerque, di cui due complete e una mutila.
L’Alquerque 1, di dimensioni rilevanti ma purtroppo mutila a causa del degrado superficiale della cimasa del parapetto e della presenza di una stuccatura, è di fattura molto rozza: inciso a mano libera, mostra tratti incerti e irregolari (Foto 10 e 11, evidenziato con linee nere).
L’Alquerque 2, leggermente più piccolo, è invece molto meglio conservato, perfettamente leggibile e di fattura assai più raffinata (Foto 12 e 13, evidenziato con linee azzurro chiaro): alcuni tratti – delineati profondamente nella superficie laterizia – sembrano infatti tracciati con l’ausilio di un’asticella in legno o metallo usata a mo’ di righello, mentre altri, seppur tracciati a mano libera e leggermente curvilinei, sembrano incisi da una persona abituata a scrivere e disegnare. Anche le proporzioni e gli intrecci delle linee sono molto precisi e regolari, come se fosse stato usato un disegno preliminare a carboncino prima di passare all’incisione vera e propria. Tuttavia il quadrato principale appare storto, cioè non parallelo al bordo della cimasa.
L’Alquerque 3 è forse l’esemplare di fattura più grossolana in assoluto: sebbene completo e abbastanza ben leggibile, sebbene leggermente danneggiato da alcune mancanze nella superficie laterizia; è di forma trapezoidale, con tratti molto inclinati e curvilinei e incroci imprecisi e irregolari (Foto 14 e 15, evidenziato con linee bianche). Particolarmente degna di nota è però la presenza di alcune lettere maiuscole incise nell’angolo superiore sinistro utilizzando il bordo del quadrato come linea guida (Foto 14 e 15, evidenziato con linee rosse): si tratta perciò di un graffito più tardo rispetto alla scacchiera: si leggono agevolmente le lettere POTANI[?], forse parte di un nome lasciato incompleto dall’esecutore.
Analogamente alla Triplice Cinta Sacra, anche l’alquerque ha un significato simbolico. Ciascuno dei quattro quadrati divisi in settori da mediane e diagonali costituisce infatti uno schema per il gioco del tris, che ha il significato simbolico di centro a cui tutto conduce e intorno a cui tutto ruota. L’alquerque potrebbe dunque costituire un rafforzamento di questo concetto grazie alla reiterazione dello schema del tris per ben quattro volte.
RUOTA a otto raggi
Un altro graffito interpretabile sia come simbolo sia come tavoliere da gioco è un piccolo cerchio diviso in settori settori da altrettanti segmenti, in modo da riprodurre una ruota molto stilizzata a otto raggi (Foto 16 e 17, evidenziata con linee rosse). L’esemplare è purtroppo mutilo a causa di una rottura della cimasa del parapetto, successivamente reintegrata con malta. La fattura è molto grossolana, con il cerchio fortemente irregolare e i raggi – tre dei quali si prolungano anche fuori dal cerchio esterno – non convergenti verso il centro, che per altro si presenta leggermente spostato verso l’alto.
Il graffito può avere due diverse interpretazioni: una variante di schema per il gioco del tris (chiamato dagli antichi romani “terni lapilli“, cioè “tre sassolini” – Foto 18) oppure una stilizzazione della ruota della fortuna, un simbolo molto popolare nel Medioevo e Rinascimento, costituito appunto da una ruota a otto raggi oppure dalla personificazione della fortuna sotto forma di una fanciulla che sorreggeva o cavalcava una piccola ruota.
Troviamo rappresentazioni della ruota della fortuna ad esempio nel pavimento del Duomo di Siena (Foto 19) o affrescato su alcune facciate di Trento (Foto 20) o Spilimbergo in provincia di Pordenone (Foto 21).
Simboli devozionali
Sulla cimasa del parapetto ho rintracciato anche la presenza di due simboli devozionali: una croce semplice e un Calvario.
La croce semplice è abbastanza grande, molto ben visibile e in ottimo stato di conservazione (Foto 22 e 23, evidenziato con linee blu): la sua fattura è eccellente, con tratti rettilinei molto netti tracciati con l’ausilio di un’asticella in legno o metallo usata a mo’ di righello.
Il Golgota o Calvario, formato da una croce su un monte stilizzato (Foto 24 e 25, evidenziato con linee gialle), è invece di fattura estremamente grossolana: l’incisione – molto profonda e irregolare – sembra infatti ottenuta picchiettando ripetutamente la superficie di laterizio della cimasa con mezzi di fortuna, forse costituiti da uno scalpello o addirittura un sasso appuntito. É inoltre evidente che l’esecutore era privo di qualsiasi esperienza in questo genere di operazioni. Il Calvario richiama ovviamente la passione di Cristo ed è dunque un simbolo prettamente devozionale: risulta assai comune soprattutto nelle chiese, dove veniva inciso dai pellegrini su colonne, stipiti e pareti verticali (se ne vedono alcuni ad esempio sulla cosiddetta Colonna della Flagellazione del complesso delle Sette Chiese a Bologna – Foto 26); oppure dipinto sulle ceramiche da mensa in uso soprattutto nei conventi (Foto 27).
Altre incisioni, FIRME E SCRITTE
Accanto al graffito con il Calvario si notano alcune altre incisioni: una griglia incompleta, troppo piccola per giocare e scarsamente leggibile a causa dei tratti incisi in modo assai superficiale (Foto 24 e 25, evidenziato con linee rosse) e, sulla sinistra, un monogramma con le lettere DCP racchiuse in una cornice incompleta (Foto 24 e 25, evidenziato con linee blu).
Del monogramma AC nel quadrato centrale della Tria 1 (Foto 2 e 3, evidenziato con linee rosse) e della parola POTANI[?] nell’angolo superiore sinistro dell’Alquerque 3 (Foto 14 e 15, evidenziato conlinee rosse) abbiamo invece parlato nei paragrafi precedenti.
Altre incisioni che ho riscontrato sono:
– la parola DECASN (probabilmente incompleta e per me purtroppo incomprensibile), scritta in grandi lettere maiuscole, di buona fattura e incise profondamente da una mano esperta nella superficie laterizia; la N è però rovesciata (Foto 28);
– alcune iniziali di cui si riconosce unicamente la lettera J. racchiuse in una cornice rettangolare dotate di spigoli: alcune lettere, che in origine erano probabilmente due o tre, sembrano state volutamente cancellate percuotendo la superficie laterizia con uno scalpello (Foto 29);
– un piccolo ritratto o caricatura.
Quest’ultimo merita alcuni approfondimenti: si tratta infatti di un busto di profilo (Foto 30 e 31, evidenziato con linee rosse). Si notano molto bene alcuni dettagli dell’abito compatibili con la moda sia maschile che femminile del XV secolo: in particolare sono molto evidenti una cuffietta leggera molto aderente, normalmente portata direttamente sui capelli sotto a un copricapo o berretta assai più grande e preziosa, e la parte superiore della sopravveste con un colletto alto “alla coreana”, maniche assenti o di colori contrastanti e una chiusura frontale con bottoni o lacci resa graficamente con una semplice linea. Sono invece quasi del tutto assenti (o illeggibili) i tratti del volto: una profonda ammaccatura della superficie laterizia ad esempio ha causato la scomparsa del naso. É perciò molto difficile stabilire l’identità e il sesso del soggetto ritratto, ma dall’abbigliamento dovrebbe trattarsi di una persona di condizione agiata, nobile o altoborghese.
La Foto 1 è tratta dal sito I Viaggiatori Ignoranti ed è visibile al seguente link: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/2017/06/lantica-vita-quotidiana-negli-affreschi.html