La STRADA ROMANA di Donnaz

Com’è noto gli antichi Romani furono ingegneri e agrimensori straordinari, in grado di costruire ardite infrastrutture come ponti, acquedotti, cisterne, gallerie, sostruzioni e ovviamente strade, che hanno segnato profondamente il paesaggio e spesso vengono tuttora utilizzate.
Tra queste la più significativa è l’immensa rete stradale lunga decine di migliaia di chilometri che consentiva di viaggiare agevolmente dall’Africa alla Britannia e dalla Spagna alla Germania. Alcune di queste strade, come la via Emilia, sono talmente importanti da aver dato il nome e caratterizzato la geografia di intere regioni.
Le strade romane, a differenza delle vie di comunicazione preesistenti, procedevano in linea retta, superando fiumi e burroni spettacolari ponti e viadotti, i dislivelli con le rampe o i rilievi con trincee scavate nella roccia o vere e proprie gallerie.

A Donnaz in Valle d’Aosta, a fianco della moderna strada statale, è tuttora visibile (e in ottimo stato di conservazione) un tratto di ben 221 metri dell’antica Via delle Gallie che collegava Roma con il Rodano: comprende la carreggiata stradale tagliata nella roccia, una breve galleria per aggirare un grande masso e un miliario, cioè un cippo, una stele e una colonna con un’indicazione di distanza.

La carreggiata stradale con il miliario

La carreggiata vera e propria, in ripida salita, è stata tagliata nella roccia (Foto 1): sul fianco della montagna sono tuttora visibili due linee sovrapposte parallele ad essa – e perciò inclinate – usate dagli antichi scalpellini come riferimento per la prosecuzione del lavoro (Foto 2). Piccoli marchi a forma di O (Foto 3) si riferiscono invece alla squadra a cui era segnato quello specifico settore del cantiere (con un uso che anticiperebbe di svariati secoli i marchi degli scalpellini medievali), al conto delle giornate di lavoro o a punti di riferimento predeterminati.

Contrariamente inoltre alla tecnica consueta, che prevedeva la formazione di un lastricato costituito da grossi di massi di forma irregolare in opera su una complessa successione di strati preparatori (una tecnica visibile ad esempio negli scavi di Pompei o sulla via Appia), anche la carreggiata vera e propria è stata intagliata direttamente nella roccia (Foto 4): l’altezza della parete che la fiancheggia lascia intuire la mole di lavoro e la fatica necessari a tale scopo.
Il fondo appare oggi molto sconnesso e difficilmente percorribile anche a piedi in seguito a ben due millenni di esposizione alle intemperie e mancanza di manutenzione, ma in origine esso doveva presentarsi liscio e perfettamente complanare per consentire un agevole passaggio dei carri e un buon deflusso dell’acqua piovana.

La carreggiata conserva tuttavia le tracce chiaramente visibili di due geniali accorgimenti per agevolare il transito dei veicoli in questa ripida salita: i carri romani, dotati di ruote in legno ed eventuali cerchiature di ferro per aumentarne la durata, avevano infatti ben poca aderenza e in salita potevano facilmente scivolare all’indietro, creando pericolosi incidenti.
Gli antichi ingegneri hanno perciò scavato due profondi solchi – simili a vere e proprie rotaie in negativo – destinati a instradare i carri nei tratti in curva o in salita (Foto 4e 5), evitando che uscissero di strada. Tali solchi, visibili anche in corrispondenza delle porte urbane, degli incroci più trafficati e di molti “attraversamenti pedonali” di Pompei, non si sono perciò prodotti in secoli di andirivieni, ma sono stati creati in modo intenzionale.
Ciò dimostra anche l’esistenza di veicoli con dimensioni standardizzate.
Un secondo accorgimento è costituito da una serie di scanalature perpendicolari alla carreggiata scavate a intervalli regolari (Foto 6) accuratamente calcolati per facilitare lo sforzo di trazione degli animali da tiro (normalmente buoi o mucche, più raramente cavalli) che, inserendovi gli zoccoli, evitavano di scivolare: i Romani non praticavano l’infatti l’arte della ferratura.

A metà della porzione di strada conservata si trova una pietra miliare, anch’essa scavata direttamente nella roccia e costituita da una semicolonna alta più di due metri addossata alla parete rocciosa (Foto 7): reca inciso il numero XXXVI, cioè 36 (Foto 8, 9, 10 e 11), forse corrispondente alla distanza da Augusta Pretoria (Aosta), appunto 36 miglia romane (circa 54 chilometri). Questi miliari erano fondamentali per la circolazione stradale, perché fornivano ai viaggiatori preziose informazioni: non solo la distanza dalla città più vicina, un dato fondamentale per orientarsi e pianificare le tappe giornaliere, ma spesso anche i nomi delle località più vicine e i titoli del magistrato che aveva sovrainteso alla costruzione della strada.

La strada venne utilizzata anche durante il Medioevo, come prova un’iscrizione incisa nella roccia risalente forse al 1419 (Foto 12). Infatti, sebbene parzialmente cancellata dalle intemperie e dunque di difficile lettura, si legge ancora parzialmente una data in numeri romani: M CCCC IXX (Foto 13). A ridosso della breve galleria si formò infatti un piccolo borgo tuttora esistente, allo scopo di sfruttare non solo la strada vera e propria, ma anche la protezione offerta da questa interessante infrastruttura che, trasformata in porta urbana e munita di battenti, veniva chiusa ogni sera e riaperta al mattino.

La galleria scavata nella roccia

L’elemento più interessante della strada romana di Donnaz è probabilmente costituita da questa galleria costruita perché tagliare il costone roccioso anche in quel punto sarebbe probabilmente risultato troppo difficile e costoso. Si tratta di un passaggio a un unico fornice con un arco a tutto sesto dalle dimensioni ragguardevoli: 4 metri di lunghezza, 4 metri di altezza e 3 metri di larghezza della carreggiata (Foto 14), la misura standard delle strade romane in questo caso però insufficiente a consentire l’incrocio di due carri. Perciò, poiché i solchi sulla carreggiata sono solo due, possiamo ipotizzare l’esistenza di una sorta di senso unico alternato per il transito in questo particolare punto.

L’imboccatura del fornice è ornato su ciascun lato con un finto archivolto formato da 13 conci a cuneo (Foto 15): le fughe tra i conci, probabilmente in origine colorate di bianco per simulare i giunti di malta, sono state incise direttamente nella roccia. Su uno degli stipiti è visibile anche una linea orizzontale utilizzata come riferimento per le lavorazioni (Foto 16).


Per maggiori approfondimenti sulle infrastrutture e le tecniche costruttive romane si rimanda al libro L’arte di costruire presso i Romani. Materiali e tecniche di Jean-Pierre Adam.

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