Dal SISTEMA TRILITICO all’ARCO di pietre conce

Secondo post della serie sugli ARCHI in pietra o mattoni: dopo aver esaminato l’uso degli archi nella costruzione degli edifici e le loro differenti tipologie, ci occupiamo oggi della loro evoluzione e in particolare del passaggio dal sistema trilitico all’arco di pietre conce.


Dal sistema trilitico all’ARCO in pietra o mattoni

Il sistema trilitico, formato da un architrave semplicemente appoggiato su due piedritti, è uno dei metodi costruttivi più antichi dell’umanità. É ancora visibile in molti celebri monumenti, come i templi greci ed egizi, il complesso megalitico di Stonehenge e i tholos micenei.

Tuttavia (Foto 1) presenta anche alcuni gravi svantaggi:
1) A causa della scarsissima resistenza della pietra a trazione e flessione richiede architravi molto spessi, perciò pesantissimi e particolarmente complessi da lavorare, trasportare e sollevare.
2) Per lo stesso motivo un architrave di pietra può sopportare carichi modesti.
3) A causa dei limiti della tecnologia antica, era quindi possibile coprire solo piccole luci: non esistono infatti solai in pietra, tranne rarissime eccezioni del tutto marginali.
4) É molto laborioso realizzare spazi o passaggi con copertura inclinata.

Gli Egizi e i Micenei riuscirono però a superare alcuni di questi problemi in modo decisamente ingegnoso.

L’arco a mensola o falso arco consente infatti di realizzare ambienti con copertura apparentemente curvilinea. Il principio costruttivo è molto semplice, perché basta attribuire ai blocchi di ciascun corso un lieve aggetto rispetto alla fila sottostante: troviamo questo sistema ad esempio nella Grande Galleria della Piramide di Cheope, nelle tombe a tholos di Micene, nell’architettura nuragica e perfino nei trulli (Foto 2).

Castello di Vignola (Modena): architrave in pietra con sovrastante arco di scarico in pietre conce

Ai Micenei si deve invece l’introduzione del cosiddetto triangolo di scarico, che presuppone la perfetta conoscenza del comportamento strutturale di un architrave: contrariamente a quanto si potrebbe pensare, infatti, un architrave orizzontale sostiene direttamente solo una porzione di muratura corrispondente a un triangolo equilatero. Gli antichi architetti intuirono molto bene questo principio, probabilmente grazie all’osservazione attenta dei quadri fessurativi degli edifici in grandi blocchi di pietra, e alleggerirono drasticamente questa zona lasciandola vuota o tamponandola con sottili lastre di pietra scolpita, come si nota ad esempio nella Porta dei Leoni di Micene (Foto 3).

Questa intuizione è stata fondamentale anche nei secoli successivi. Gli archi di scarico sulle piattabande, l’arco a tutto sesto e l’arco a sesto acuto con profilo a triangolo equilatero sono infatti la logica evoluzione del triangolo di scarico: ci ritorneremo nel quinto post parlando dell’arco senese.

L’osservazione della tipica rottura a flessione di una trave, che provoca un’inconfondibile lesione verticale a metà della sua lunghezza, portò invece all’introduzione di architravi di forma grosso modo triangolare o trapezoidale, così da rinforzare proprio le zone più sollecitate (Foto 4).
Una soluzione alternativa, ma decisamente più tarda, consisteva invece nel sagomare l’architrave come un arco a tutto sesto o a sesto ribassato (Foto 5): si tratta di una soluzione molto comune nell’edilizia medievale, perché rendeva inutili le centine necessarie durante la costruzione di un vero arco e semplificava notevolmente il lavoro degli scalpellini.

Il vero e proprio arco in mattoni comparve tuttavia molto precocemente: l’esemplare più antico attualmente conosciuto si trova nella ziggurat di Ur (Foto 6), costruita dai Sumeri nel III millennio avanti Cristo. La massiccia introduzione dell’arco di pietre conce si deve invece agli Etruschi, che a partire dal V secolo a.C. lo utilizzarono anche in strutture monumentali come le porte urbane, raggiungendo livelli tecnici e formali di assoluta perfezione.

Nel Medioevo gli archi di pietre conce erano ovviamente conosciuti e ampiamente utilizzati (Foto 7 e 8), ma spesso si cercava di semplificarne la tecnica costruttiva riducendo il numero dei conci, in modo da ridurre notevolmente sia le centine di sostegnosia il lavoro degli scalpellini risparmiando sui costi di costruzione. In questi casi la regola dell’arte prescrive tuttavia che i conci siano sempre in numero dispari.

Castello di Avio (Trento): particolare dei conci di un arco

Un ottimo esempio di questa pratica sono ad esempio due archi a tutto a sesto del Castello di Avio (Foto 9) e di Castel Beseno in Trentino (Foto 10): anche se dal punto di vista strutturale sono veri e propri archi e si comportano come tali, sono formati rispettivamente da tre e cinque conci molto lunghi e vistosamente arcuati. La stessa tecnica si nota anche nell’archetto a sesto acuto di una monofora (Foto 11) formato da sette conci e con il concio in chiave a forma di V.

Molto curioso è infine un arco a tutto sesto (Foto 12) formato da nove conci, uno dei quali corrisponde da solo all’intera metà sinistra dell’arco.

Nel Medioevo, sopratutto nelle zone più marginali, era tuttavia piuttosto difficile reperire maestranze specializzate anche per la costruzione di edifici di pregio, e perciò sono frequenti errori costruttivi di varia gravità.

A Castel Beseno, un arco a tutto sesto formato da cinque conci è stato ad esempio decorato con un profondo intaglio proprio nel punto centrale, indebolendo il concio di chiave (Foto 13): in questo caso l’errore è stato probabilmente compiuto da uno scalpellino ignaro del comportamento strutturale dell’arco, invece ben noto ai muratori che lo hanno costruito.

Ben più gravi – e questa volta dovuti proprio a muratori inesperti – sono invece gli errori in due archi del Castello di Avio rispettivamente a tutto sesto (Foto 14) e a sesto acuto (Foto 15), nei quali il giunto di malta tra due conci adiacenti si trova proprio in corrispondenza della chiave: questo rende molto più facile l’attivazione dei dissesti tipici degli archi, che analizzeremo dettagliatamente nel prossimo post della serie.


Foto 1 – Alcuni triliti di Stonehenge: l’architrave ha uno spessore molto elevato, mentre la luce tra i piedritti è decisamente piccola.

Foto 2 – Particolare della cupola di un trullo pugliese, in cui si nota molto bene la tecnica dell’arco a mensola.

Foto 3Porta dei Leoni di Micene: si notino l’architrave leggermente triangolare e il triangolo di scarico tamponato con sottili lastre scolpite.

Foto 4 – Borgo di Monteriggioni: architrave di pietra di forma triangolare per rinforzare le zone più sollecitate.

Foto 5Castel Beseno in Trentino: architrave monolitico sagomato come un arco a sesto ribassato.

Foto 6Ziggurat di Ur (terzo millennio a.C.): il più antico esemplare di arco attualmente conosciuto.

Foto 7 Assisi: casa con arco a sesto acuto di pietre conce.

Foto 8Borgo di Monteveglio (Bologna): porta di accesso con arco a sesto acuto di pietre conce.

Foto 9 Castello di Avio (Trentino): arco a tutto sesto formato da tre soli conci molto lunghi e vistosamente arcuati.

Foto 10Castel Beseno (Trentino): arco a tutto sesto della Porta Scura formato da cinque conci.

Foto 11Castello di Avio (Trentino): archetto a sesto acuto formato da sette conci; il concio di chiave è a forma di V.

Foto 12 Castello di Avio (Trentino): arco a tutto sesto formato da nove conci, uno dei quali coincidente con l’intera metà sinistra dell’arco.

Foto 13Castel Beseno (Trentino): arco a tutto sesto formato da cinque conci, con profondo intaglio decorativo che ha indebolito il concio di chiave.

Foto 14Castello di Avio (Trentino): arco a tutto sesto con giunto di malta tra due conci proprio in corrispondenza della chiave.

Foto 15 Castello di Avio (Trentino): arco a sesto acuto con giunto di malta tra due conci proprio in corrispondenza della chiave.

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