Casa Demartin a Calliano: un PALAZZETTO TRENTINO RINASCIMENTALE

Calliano alle porte di Rovereto è un piccolo paese della Vallagarina abbastanza noto per sorgere a brevissima distanza da Castelpietra – che anticamente insieme al più importante Castel Beseno presidiava il confine tra il Principato Vescovile di Trento e la Repubblica di Venezia – e per essere stato teatro di un’importante battaglia campale che nel 1487 sancì la definitiva estromissione dei Veneziani dal Trentino.

Grazie alla sua posizione strategica e soprattutto alla vicinanza con i due importanti castelli, Calliano fu quindi sede di funzioni civili e militari di una certa rilevanza, che nel XV secolo comportarono la costruzione di alcuni edifici di grande pregio artistico e architettonico: Casa Demartin, anche nota come Palazzo Pilosi, è uno di questi.

Casa Demartin: interno di uno degli ambienti voltati del piano terra anticamente adibiti a magazzino

Attualmente sede della cantina del viticoltore Eugenio Rosi, proprietario di un’antica fornace da laterizio, secondo alcuni studiosi fu costruito nel 1514 come propria dimora da un certo Fabiano Pilosi, già capitano e vicario in vari feudi appartenenti all’importante famiglia dei Trapp.

L’edificio è formato da un unico corpo di fabbrica con tre piani fuori terra (primo, secondo e terreno) e tre finestre rettangolari per piano, di cui quella di sinistra doppia, sicuramente posteriori alla costruzione dell’edificio. Al piano terra si trova invece un ampio porticato con tre arcate a tutto sesto sorrette da due massicce colonne ottagonali di pietra e due poderosi pilastri/speroni angolari. Ciascun arco è formato da conci disuguali in calcare ammonitico bianco o scaglia veneta (pietra della Lessinia), secondo una tecnica costruttiva molto simile ad alcuni archi visibili nei castelli di Avio e Beseno. Anche le finestre sono arricchite da semplici cornici lisce con trabeazione e davanzale modanati in calcare ammonitico bianco.

Il tipo edilizio, i materiali e lo stile della facciata appaiono molto simili ad alcune costruzioni tardomedievali e rinascimentali di area veneta e friulana: un ottimo confronto è ad esempio il borgo di Spilimbergo in provincia di Pordenone.

La facciata affrescata: finta pietra e temi araldici

L’elemento di maggiore pregio dell’edificio è sicuramente la facciata affrescata, su cui sono visibili due diversi temi decorativi a mio parere relativi a due fasi non contemporanee:

1) Un motivo di fondo a finta pietra con conci rettangolari regolarmente sfalsati, fughe probabilmente incise a intonaco fresco successivamente ripassate di nero e sfondo grigio chiaro corrispondente al colore dell’intonaco grezzo (Foto 1); e inoltre un bugnato angolare formato da campiture grigio scuro bordate di bianco alternativamente quadrate e rettangolari  (Foto 2). La decorazione è molto semplice ma di ottima qualità e abbastanza realistica, come si nota confrontando l’intonaco con gli archi del porticato in vero materiale lapideo.

Simili decorazioni a finta pietra sono ben attestate nella zona tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. Nel Palazzo Comitale di Castel Beseno si conservano ad esempio ampi resti di una decorazione con un motivo a finta pietra con fughe rosse (Foto 3); mentre a Trento ho fotografato i lacerti di un intonaco a finta pietra con fughe scure (Foto 4), un altro lacerto con fughe verdi e rosse (Foto 5) e un ulteriore intonaco decorato con tracce di un motivo a finta pietra con fughe scure, decorazioni vegetali e un bugnato angolare formato da una semplice fascia dentellata tinteggiata di rosso (Foto 6).

La qualità esecutiva è molto variabile: accanto a esemplari ben rifiniti si notano infatti alcuni vistosi errori di esecuzione come conci con dimensioni variabili, linee orizzontali ondulate e non parallele o giunti verticali con andamento incerto e inclinato. Inoltre l’uso di colori decisamente improbabili per le fughe di una vera muratura come il nero, il rosso o addirittura il verde le rende modelli del tutto schematici e convenzionali, anche se lo sfondo bianco può richiamare il calcare ammonitico bianco o la scaglia veneta (pietra della Lessinia), materiali effettivamente presenti sia nell’architettura trentina, sia nell’edificio considerato.

Tuttavia la decorazione di Casa Demartin presenta tre differenze sostanziali con gli esempi sopra descritti: le fughe dapprima incise e successivamente ripassate con il colore; lo sfondo costituito da un intonachino di calce e sabbia anziché da un semplice scialbo di latte di calce e soprattutto un maggiore realismo.

La decorazione araldica di Casa Demartin, primi anni del ‘500

2) Una serie di stemmi araldici, purtroppo molto frammentari a causa dell’apertura delle attuali finestre.
Gli studiosi Laura Dal Prà e Luciano Borrelli, che hanno compiuto un’approfondita analisi storica e araldica della decorazione, sono tuttavia riusciti a ricostruirne lo schema fondamentale: la composizione originaria era simmetrica e dominata in alto dal grande stemma dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo, chiusa in basso da un cartiglio svolazzante con un motto in latino e costituita da cinque file con due stemmi ciascuna, tranne quella mediana che ne contava sei. Sono inoltre visibili anche alcuni lacerti di una cornice dipinta in stile tardogotico (perciò probabilmente coeva agli stemmi – Foto 7) che in origine racchiudeva una scena figurativa, un paesaggio o un’immagine sacra ora perduta, a cui faceva probabilmente riscontro un’analoga raffigurazione sulla destra, anch’essa completamente perduta.

Partendo dall’alto verso il basso, gli stemmi sono i seguenti:

Fila 1 – Insegna di Massimiliano I (imperatore del Sacro Romano Impero dal 1493 al 1519), costituita da un’aquila a una testa con al centro un piccolo stemma dell’Austria, sormontata da una corona e circondata dal collare dell’ordine del Toson D’Oro (Foto 8) fondato nel 1430 da Filippo III di Borgogna e una delle massime onorificenze attribuite alla Casa d’Asburgo. Questo stemma, nettamente più grande di quelli sottostanti, era ovviamente il più importante.

Fila 2 – Stemma della famiglia Trapp (inquartato con nel 1° e 4° un doppio scaglione rovesciato rosso su fondo bianco, nel 2° e 3° un’otarda, trappe in tedesco) e della famiglia Matsch (inquartato con nel 1° e 4° tre paia di ali azzurre su fondo bianco, nel 2° e 3° una colonna bianca su sfondo rosso, corrispondente allo stemma della famiglia romana dei Colonna – Foto 9).
Lacerti di uno stemma nettamente più grande e ormai purtroppo illeggibile posto in posizione asimmetrica

Fila 3 – Stemma della famiglia Welsperg (un semplice inquartato in origine bianco e nero, ora bianco e azzurro a causa del degrado della pellicola pittorica superficiale) e della famiglia Fuchs (una volpe rampante rossa su campo giallo – Foto 9). Accanto a questi due stemmi si intravvede anche la porzione inferiore di uno scudo araldico più grande e ormai purtroppo del tutto illeggibile.

Fila 4 – Da sinistra a destra: stemma della famiglia Weineck (inquartato con nel 1° e 4° quarto sei quadri alternativamente bianchi e rossi, nel 2° e 3° quarto una cinta muraria con merlatura ghibellina – Foto 10); famiglia Firmian (inquartato con nel 1° e 4° quarto un corno di cervo bianco su campo azzurro con una stella dorata alla fine di ciascuna delle quattro diramazioni; nel 2° e 3° quarto una serie di fasce bianche e rosse alternate con mezze lune bianche, corrispondente allo stemma dei Mezo – Foto 10); famiglia Wolkenstein (tagliato nebuloso d’argento e rosso: di questo stemma si conserva solo un piccolo lacerto, comunque sufficiente all’identificazione – Foto 10); famiglia Liechtenstein (d’argento calzato d’azzurro – Foto 11); perduto; perduto.

Fila 5 – Perduto; stemma della famiglia Völs Colonna (sfondo bianco con due fasce azzurre e una rossa centrale, con due rose rosse e due croci patenti rosse ai quattro angoli dello stemma, su cui campeggia una colonna bianca sormontata da una corona dorata – Foto 11).

Fila 6 – Stemma della famiglia Nordheim von Sarnthein (una fascia bianca, una rossa e una bianca, con al centro un leone rossoFoto 11) e della famiglia Spaur, anche se in questo caso siamo in presenza di ben due stemmi sovrapposti (Foto 11). La composizione è chiusa da alcune scritte: una data di cui si leggono solo le ultime due cifre (50), corrispondente probabilmente al 1450 o al 1550; un cartiglio con il motto “TANDEM IVSTICIA VICTRIX” (Alla fine la giustizia risulta vittoriosa) e infine il nome di Fabiano Pilosi (FAB.AN PILLOS – Foto 11).

Simili decorazioni araldiche sono molto comuni: ne vediamo ad esempio nel palazzo vescovile di Albenga in provincia di Savona, nel Castello di Vignola in provincia di Modena o nel Broletto di Novara. Il loro scopo era generalmente celebrare alleanze politiche, trattati o patti di vassallaggio; oppure segnalare le persone che nel corso del tempo hanno ricoperto una certa carica, tra cui ad esempio vescovo di una città, podestà di un comune o capitano della guarnigione di un castello.

Spilimbergo (Pordenone): lacerti di una decorazione del XV secolo con un elaborato partito architettonico e stemmi araldici racchiusi da corone di foglie “appesi” alla facciata con nastri rossi.

L’esemplare di Casa Demartin, probabilmente realizzato per celebrare un patto di alleanza e vassallaggio con la Casa d’Asburgo, è molto interessante per vari motivi: oltre infatti a documentare la storia e l’araldica di numerose importanti famiglie locali, attesta anche un mutamento politico o forse il tradimento di una famiglia, come sembrerebbe suggerire la presenza dello stemma Spaur che ha sostituito uno stemma non identificato di cui si intravvedono ancora significative tracce.

Lo stile richiama invece le decorazioni effimere realizzate con drappi, corone di fiori e scudi di legno in occasione di feste religiose, parate o importanti eventi di famiglia come nascite e matrimoni: ciascuno stemma è infatti raffigurato molto inclinato e con un’ombreggiatura su un lato, cioè come se fosse appeso alla facciata.
Un ottimo esempio di questa tendenza è costituito da una casa di Spilimbergo che conserva ampi lacerti di una decorazione quattrocentesca con un elaborato partito architettonico e stemmi araldici racchiusi da serti vegetali chiaramente “appesi” alla facciata per mezzo di nastri rossi.

L’interno

Oltre alla decorazione di facciata, l’edificio – di cui ho potuto visitare il piano terra, la cantina e il primo piano – si distingue anche per la sua struttura architettonica decisamente particolare.

Il piano terra quasi certamente venne adibito fin dalla costruzione a magazzino e/o laboratorio artigianale, come prova la presenza di due lunghi ambienti comunicanti coperti con una volta a botte lunettata a tutto sesto (Foto 12). La porta di comunicazione è molto piccola, ad arco a sesto ribassato e con gli stipiti fortemente strombati (Foto 13).
L’uso molto prolungato nel tempo è testimoniato dalle tracce di alcune scritte a carboncino ormai scarsamente leggibili (Foto 14), probabilmente le firme dei frequentatori abituali del luogo.
Nel primo ambiente si nota anche una rappresentazione della Sacra Famiglia (Foto 15) con il motto “TANDEM IVSTICIA VICTRIX” (identico a quello che compare anche sulla decorazione di facciata) e un’epigrafe che ne attesta la committenza e la data di esecuzione: I[ohannes] F[abianous] P[ilosus] MDXXII, cioè 1522.

È presente anche una cantina interrata a cui si accede da una scala in blocchi di calcare ammonitico bianco (Foto 16); la pavimentazione – probabilmente recente dato il buono stato di conservazione e l’assenza di vistose tracce di usura per calpestio – è formata da semplici mezzane rettangolari di cotto (Foto 17) forse prodotte proprio nell’antica fornace dei Rosi.
Casa Demartin: Madonna col Bambino probabilmente risalente alla seconda metà del XVII secolo dipinta a fresco secco lungo la scala interna

Ai piani superiori si accede da una scala rettilinea, a metà della quale si trova una sorta di piccola edicola con un’immagine della Madonna col Bambino entro una cornice decorata e un cartiglio con una scritta in latino: AUXIL[IV]M CHRISTIANO[RUM] ORA, da tradurre probabilmente con Aiuto dei Cristiani, prega [per noi] oppure come Rivolgi le preghiere all’aiuto dei Cristiani.
Data l’assenza di un disegno preparatorio inciso e lo stile semplice e popolaresco molto probabilmente il dipinto è stato eseguito a fresco-secco da un semplice decoratore. Sono infatti presenti alcuni errori di esecuzione, come la A di “auxilium” sovrapposta alla cornice del cartiglio: un forte indizio dell’inesperienza del pittore nel calibrare correttamente lo spazio a disposizione. Inoltre in base alla cornice in stile barocco si può ipotizzare una datazione alla seconda metà del XVII secolo.

Il primo piano era sicuramente destinato a funzioni di rappresentanza, mentre al secondo si trovavano le stanze private della famiglia Pilosi. L’ambiente più notevole è sicuramente l’ampia galleria del primo piano, con uno sviluppo planimetrico a forma di U, coperta da una lunga volta a botte lunettata a tutto sesto (Foto 18 e 19) e illuminata sia dalle ampie finestre della facciata, sia da bucature più piccole a sesto ribassato dalle pareti molto strombate (Foto 20).


Per un’analisi dettagliata storica e araldica della decorazione di Casa Demartin si veda l’ottimo saggio di Laura Dal Prà e Luciano Borrelli “Tra affreschi, stemmi ed archivi – Palazzo Pilosi (ora Casa Demartin) di Calliano al tempo dell’imperatore Massimiliano I D’Asburgo“: http://www.agiati.it/UploadDocs/5126_art_01_dal_pra.pdf

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