L’architettura racconta: TRACCE DI VITA su un ANTICO MARCIAPIEDE

Uno degli aspetti più affascinanti dello studio dell’architettura storica, e in particolare dell’archeologia dell’architettura, risiede nella possibilità di ricostruire alcuni momenti della vita quotidiana di persone ormai scomparse da secoli. Questo è vero soprattutto analizzando due diverse superfici: gli intonaci e le pavimentazioni. Queste ultime, in particolare, spesso raccontano vere e proprie storie grazie alle tracce di usura impresse da secoli di andirivieni.

Vorrei dunque dedicare due post ad altrettanti antichi marciapiedi, uno di Mantova e uno di Piacenza.

I marciapiedi nella storia
Antichi marciapiedi negli scavi di Pompei

L’uso dei marciapiedi è antichissimo e deriva da una banale considerazione: separare il traffico dei pedoni da quello degli altri protagonisti della strada (anticamente carri, lettighe, persone a cavallo e convogli di animali da soma; più recentemente carrozze e biciclette) era infatti molto vantaggioso perché diminuiva il rischio di incidenti e rendeva la viabilità cittadina decisamente più scorrevole, riducendo i tempi – e dunque i costi – di trasporto.
Giù nell’antica Pompei è perciò attestato l’uso sia di marciapiedi addossati agli edifici, rialzati e in alcuni casi dotati di caditoie per lo scolo dell’acqua piovana, sia di vere e proprie isole pedonali (l’area del Foro) in cui l’accesso a carri, cavalli e animali da soma era impedito da colonnini in pietra, esattamente come avviene nelle città moderne.

I marciapiedi divennero invece poco diffusi nell’Alto Medioevo perché l’uso di pavimentare le vie cittadine cadde praticamente in disuso, per poi riaffermarsi quando – a partire soprattutto dal XIV secolo – si tornò a lastricare le strade con ciottoli, lastre di pietra o mattoni.

Tuttavia i marciapiedi tardomedievali, rinascimentali e moderni hanno un aspetto profondamente diverso: posti alla stessa quota della carreggiata stradale, sono normalmente costituiti da una stretta fascia (circa 80-100 cm o spesso anche meno) di pavimentazione contrastante rispetto al fondo. Gli scopi erano due: garantire ai pedoni una fascia di transito “sicura” e abbellire l’attacco a terra degli edifici e in particolare dei palazzi gentilizi.

Mantova: un marciapiede ammattonato

In una strada del centro storico di Mantova è tuttora visibile un antico marciapiede ad ammattonato.
Contrariamente agli ammattonati per gli ambienti interni o comunque con scarso traffico, in questo caso gli elementi sono disposti per coltello, cioè di taglio, con tessitura a correre in senso perpendicolare all’edificio.
La larghezza del marciapiede, estremamente ridotta, corrisponde a 5 teste di mattone, cioè circa 65-70 cm. La carreggiata vera e propria è invece costituita dalla tipica “rizzata lombarda“, un acciottolato rustico (non decorato) di grossi ciottoli di fiume di forma tondeggiante. La separazione tra le due pavimentazioni è molto netta, priva di cordoli o bordure di alcun tipo.

L’aspetto più significativo è però costituito dalle evidentissime tracce di usura impresse da secoli di piedi, a riprova dell’antichità di questa pavimentazione: nella parte esterna del marciapiede, corrispondente a quella più vicina all’acciottolato, si nota infatti un vero e proprio “solco” profondo forse una decina di centimetri.

Possiamo ricavare una datazione approssimativa di questo marciapiede in base all’entità dell’usura da calpestio? Purtroppo no: infatti, anche se in teoria sarebbe possibile azzardare una stima, che io sappia non è mai stato tentano alcuno studio in questo senso.

Possiamo invece fare alcune considerazioni sulla tecnica costruttiva: per prima cosa l’uso dei mattoni per coltello, anche se richiedeva molto più materiale  e un maggiore tempo di esecuzione rispetto ai marciapiedi in mattoni “di piatto” (come quello che ho rilevato un paio d’anni fa in una casa rurale della campagna bolognese), assicurava alla pavimentazione una grande resistenza e durabilità.
Inoltre – data la destinazione d’uso dell’ammattonato e la sua collocazione in prossimità dell’attacco a terra dell’edifico, e dunque in una posizione caratterizzata dalla continua percolazione di acqua piovana dallo sporto di gronda (le grondaie si diffusero infatti su larga scala solo in epoca abbastanza recente) – è molto probabile che per la sua costruzione si siano scelti mattoni ferretti, caratterizzati dalla cottura a temperature molto alte: erano infatti laterizi duri e resistenti, particolarmente adatti per la costruzione di ammattonati in quanto dotati di una superficie parzialmente vetrificata e poco porosa, con un basso grado di gelività.

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